A BERGAMO LA PRIMA SCUOLA SUPERIORE DI MAGISTRATURA
                                  di Pierluigi Piromalli

     La comunità bergamasca, sottoposta ad una politica di rinnovamento globale e avviata verso la realizzazione di importanti infrastrutture e di massicci interventi di riqualificazione territoriale e commerciale, ha aggiunto, nella propria ideale bacheca dei trofei, un altro importante traguardo, che la vedrà sede di una delle tre Scuole Superiori di Magistratura istituite a livello nazionale. Tale iniziativa, che sotto il profilo istituzionale si aggiunge alla storica decisione di collocare in città l’Accademia della Guardia di Finanza, rappresenterà, nel panorama orobico, un ulteriore motivo di censo, dal momento che consentirà alla città di posizionarsi idealmente sotto i riflettori dell’attenzione dell’opinione pubblica e di proporsi come importante bacino per il perseguimento di finalità collettive di rilevanza collettiva.
     La scuola di magistratura, alla quale faranno seguito quelle di Firenze e di Benevento e che serviranno rispettivamente il centro e il Sud Italia, è la prima sede che certifica l’esistenza di una istituzione di grande prestigio e di rilevante importanza e l’occasione è stata fortunatamente perseguita con grande attenzione dagli enti locali ed anche dalla Diocesi bergamasca, il cui impegno ha consentito di realizzare un progetto premiato con l’assegnazione dell’istituto in una porzione del complesso del San Alessandro, in attesa che si completino i lavori di sistemazione di Palazzo Lupi, di proprietà del Demanio, ove verrà definitivamente trasferita la sede dell’istituto.
     La nascita della scuola è stata sancita dalla legge 111 del 2007 ed è stata accolta con grande favore da tutte le istituzioni locali, sebbene, nella fase preliminare, il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Nicola Mancino, avesse sostenuto la necessità di non individuare sedi periferiche favorendo, di fatto, la candidatura della Capitale quale centro storicamente deputato ad ospitare un organismo di primaria importanza nazionale. Le dichiarazioni di Mancino sono state poi recepite, forse troppo acriticamente, dal Guardasigilli Alfano, il quale aveva condiviso l’esigenza di una centralità romana, che fungesse allo scopo, ribadendo, semmai ve ne fosse stato bisogno, il ruolo accentratore di Roma. Ciò avrebbe, però, contrastato la logica di un’assegnazione soltanto provvisoria prevista dalla legge e avrebbe mortificato e vanificato gli investimenti sostenuti per l’individuazione logistica della sede, confermando il principio, duro a morire, di perpetuare colpevolmente la gestione

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