sebbene la comunità scientifica dovesse continuare a vigilare sull’evoluzione delle nuove fonti di contagio e soprattutto sulla modificazione del virus.
L’aviaria determinò, però, un altro preoccupante effetto boomerang, cioè quello di deprimere i mercati degli allevamenti avicoli, facendo praticamente scomparire dagli scaffali dei supermercati polli e polletti sempre consumati in quantità industriale dalla popolazione. L’informazione, nonostante i proclami che rassicuravano i consumatori circa la totale mancanza di rischio di prodotti preliminarmente sottoposti a controlli e verifiche capillari, riusciva comunque nell’opera di persuasione di una collettività impaurita mantenendo le ombre sinistre scagliate sul mercato avicolo. L’influenza suina, ultima occasione, in ordine di tempo, per riaccendere la miccia dell’inquietudine, si è invece rivelata, con una certa delusione per i media, come una patologia assai poco aggressiva, nonostante la trasmissione avvenisse da uomo a uomo, addirittura meno virulenta rispetto alla classica influenza stagionale che miete milioni di malati ed annovera molti più decessi di quanto si possa credere.
Ci si trova, insomma, ancora una volta, di fronte all’ennesimo scomposto tentativo di parte dell’informazione di suggestionare l’opinione pubblica prospettando catastrofi umanitarie che, a ben vedere, oggi sarebbero controllabili sia dalla tecnologia, sia dalle conoscenze mediche e diagnostiche, sia dall’esistenza di strumenti di controllo finalizzati a circoscrivere gli effetti nefasti di un evento fortemente infettivo.
Così, l’informazione è stata costretta a riporre i calamai e a spegnere le telecamere su un fenomeno atteso come la peste del nuovo millennio, che, dopo aver fatto il suo ingresso cinematografico nelle vite della collettività, si è circoscritta ad un evento staticamente irrilevante pur se emotivamente coinvolgente. L’unica conseguenza è stata quella che, in questo convulso fiorire di dibattiti, di rassicurazioni, di sospetti e di dubbi, sono stati banditi quasi ovunque, oppure molto sconsigliati, i viaggi nel paese “untore”, la cui economia nazionale poggia soprattutto sul turismo. La questione sollecita una mera considerazione, ossia che nella strutturata società contemporanea bisogna prendere atto che la paura è il vero imperativo categorico che governa i destini del mondo ed i media sono i catalizzatori dei timori collettivi che passano attraverso la minaccia di conflitti, di atti terroristici, di pandemie e di quanto possa sconvolgere ed alterare la quotidianità soprattutto delle opulente società occidentali, che sono costrette a convivere con un meccanismo perverso che genera benessere ma che pretende come rovescio della medaglia l’inquietudine costante.
|
|
|