Mezzanotte. Di solito, tirata giù la saracinesca e mentre inizia ad avviarsi, Michele pregusta la passeggiata notturna sul viale di palme, a quell’ora ancora ben illuminato dalla luce dei lampioni. È il desiderio di mischiarsi a quella moltitudine umana che nei dopo cena d’estate si riversa in centro per sgranchire le gambe e per scambiare due chiacchiere e sentire i clangori degli ormeggi del porticciolo turistico mossi dalla leggera brezza marina, che lo anima. D’altra parte, però, gli pare di soffocare, in mezzo a tutta quella gente; allora, quando ciò accade, e a dire il vero accade per buona parte delle volte, Michele preferisce tornarsene a casa…
     Quella sera Michele avvertì uno strano sentore, lì sotto. Sentiva si il solito puzzo di olio motore ristagnante, un’odore che peraltro non aveva mai sopportato, ma anche qualcosa d’altro che lo tratteneva oltre il dovuto. Ironico: lo stillicidio in fondo aveva creato una pozza d’acqua e ciascuna delle gocce che si aggiungevano al liquido putrescente produceva lo stesso suono che avrebbe generato ricadendo in un laghetto sotterraneo d’acqua purissima, all’interno di una qualche cavità naturale. Aveva iniziato ad avere paura senza che ne apparissero le ragioni. Michele sospese il respiro, che negli ultimi tempi, per via del fumo, si era fatto più pesante e catarroso, e stette in silenzio. Ridicolo: si sorprese a riflettere su quali possibilità teoriche vi fossero che nei cinque minuti successivi sarebbe stato ancora lì sotto piuttosto che da qualsiasi altra parte dopo essersela data a gambe per la fifa. Di fatto tremava come una foglia; eppure non era un film di Hitchcock in un cinema deserto, quello, ma solo il luogo dove lui, da tre mesi a questa parte, lavorava. Aspettò ancora; un effluvio ribollente e quasi gradevole gli percorse le membra. Avvertiva granelli sabbiosi sotto le scarpe, ne ascoltava lo scricchiolio lieve ma fastidioso. Secondi lunghissimi durante i quali un’aura singolare aveva preso ad aleggiare, lì, un’aura non di vita. Capo pulsante e battito cardiaco esagerato, si spostò piano di lato fino a raggiungere il gabbiotto. Cercò confusamente la torcia rovistando rumorosamente nei cassetti. Con un brusco movimento del braccio accese inavvertitamente la radio; nella concitazione dovuta al tentativo di spegnerla ne aumentò il volume fino al massimo possibile. Una assordante versione di Gloria, suonata quasi certamente da un vecchio disco graffiato, si diffuse nell’aria pesante del locale quasi completamente buio. Staccò la spina del piccolo apparecchio; tornò il silenzio, ancora interrotto dall’intermittente gocciolìo. Le inquietanti sensazioni provate, il terrore di andare incontro a qualcosa di tremendo ma allo stesso tempo di non ben definito, gli avevano fatto perdere

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