razionalità e senso del reale. Gli pareva di essersi già trovato in una situazione simile, in passato; fu, se non ricordava male, quella volta che mancò la luce nella cucina di quel lercio ristorante di Londra dove si era impiegato come lavapiatti. Ora si sentiva avvampare, e tuttavia di tanto in tanto brividi gli percorrevano il corpo accentuando nella sua mente quella spirale di terrore sordo che lo aveva completamente paralizzato. Quella grande paura era tuttavia ancora lievemente attenuata dal buon funzionamento della lampada che teneva stranamente stretta con la mano sinistra. All’inizio della ricognizione luminosa il fascio di luce emanato dalla torcia percorse il locale in lungo e in largo. Michele avanzò al centro dell’interrato e stette immobile, quasi incosciente; pur quasi esanime gli era parso di sentire, per quanto flebili, alcuni rumori. Poteva essere qualche piccolo animale, magari un gatto, oppure un topo. Puntò il cono di luce su quella vecchia Ford ferma da settimane parcheggiata quasi all’angolo e a quel punto lo vide; solo una scarpa, all’inizio. Man mano che avanzava esitante e riprendeva ad animarsi per via dell’emozione improvvisa, qualche nuovo particolare di quel macabro insieme gli si presentava davanti agli occhi: logori pantaloni di panno grigio, una mano su cui risaltavano unghie diventate nere per la sporcizia. Michele arretrò un poco, allorché scorse la capigliatura candida dell’uomo. Ebbe allora bisogno di raccogliere tutto il suo coraggio prima di avvicinarsi ancora e scoprire del tutto il corpo inanimato di un vecchio barbone che gli pareva di conoscere, un mendicante che nel garage aveva trovato un tetto forse per qualche notte. Michele era diventato di un pallore quasi mortale. Allora, chi in quel momento gli si fosse avvicinato, avrebbe forse potuto udire la sua voce quasi afona che sconsolatamente ripeteva: - zio Calogero, oh povero zio, ma perché, perché…?

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Cagliari, Bergamo, Il fantasma dello zio Calogero, Calogero, Giovanni, Graziano, Manca, Narrativa, Officina, Londra