L’ANTICRISTO, MALEDIZIONE DEL CRISTIANESIMO
                                     di Friedrich Wilhelm Nietzsche

     “Questo libro si conviene ai pochissimi. Forse di questi non ne vive ancora neppure uno. Potrebbero essere quelli che comprendono il mio Zarathustra (‘Così parlò Zarathustra’, 1883 - 1885): come potrei confondermi con coloro per i quali già oggi vanno crescendo orecchi? – A me si confà unicamente il giorno seguente al domani. C’è chi è nato postumo.” Già questa prefazione scritta dall’autore non lascia spazio a fraintendimenti…
     Non siamo tutti figli dell’università, quindi non è detto che tutti abbiamo potuto studiare il grande filosofo tedesco: Friedrich Nietzsche (si pronuncia Fredric Nice). Che si abbia studiato il suo ultimo scritto, “L’anticristo, maledizione del cristianesimo”, completato il 30 settembre 1888 e pubblicato per la prima volta sette anni dopo a cura di Fritz Koegel, è “un altro paio di maniche”, soprattutto in Italia, territorio prediletto del Vaticano.
     Io posso annoverarmi fra coloro che non lo hanno mai letto e “L’anticristo”, per inciso, è anche il primo fra quelli che gli appartengono. Il mio personale stupore è stato immenso da subito: non per quel che ho appreso, ma per il fatto che ho scoperto che qualcun altro la pensava come me. Temevo di essere solo nel coltivare certi coraggiosi concetti; solo, certo, perché per i miei primi 25 anni di vita non ho potuto leggere molti libri, non avevo tempo per farlo, indi per cui non ho subito condizionamenti letterari nel passaggio da cristiano cattolico per obbligo dei genitori a libero ateo.
     Se consideriamo il contesto sociale del 1888, Nietzsche è stato un innovatore, è stato un uomo dal coraggio ineguagliabile, in quanto chi non pensava cristiano era nessuno, anzi, peggio, era il diavolo. Fondamentalmente, nonostante i 600 anni trascorsi dall’ultima Crociata, la decima per l’esattezza, i ricordi nei testi dei dotti apparivano ancora freschi. Affascina quanto la filosofia di Nietzsche vada a braccetto con la scienza; non usa mezzi termini, per l’autore la pietà e la compassione sono il male dell’essere cristiano, in quanto permettono al debole di sopravvivere, mentre in natura, e questa è sacrosanta verità, i malriusciti, come li chiama lui, non sopravvivono, cosicché il proseguimento della specie è garantita. Il debole, appunto, è colui che necessita di credere nel malcontento, nella disperazione, per aspirare alla felicità, “quell’intero mondo di finzioni ha la sua radice nell’odio contro l’elemento naturale (la realtà!), esso è l’espressione di un profondo malcontento per il reale… Ma con ciò tutto è chiarito. Chi è il solo ad avere motivi per evadere bugiardamente dalla realtà? Colui che soffre di essa.”

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