BERGAMO E LA FESTA NAZIONALE ALPINA
                                  di Pierluigi Piromalli

     La città, dal 7 al 9 maggio scorsi e a distanza di ben ventiquattro anni dall’ultima manifestazione, ha ospitato, come noto, l’Adunata nazionale degli Alpini (della quale trovate maggiori dettagli e tante immagini nell’articolo dal titolo: “Bergamo e gli Alpini: che festa!!!”), evento che, per la sua dirompente portata numerica, ha coinvolto l’intera popolazione, trasformando la città in un accampamento a cielo aperto, situazione inedita che non poteva che contagiare anche i residenti e le tante persone accorse dalla provincia.
     La festa, ad di là delle celebrazioni di protocollo e della lunga sfilata di chiusura, è stata soprattutto una “manna” per i commercianti operanti nel settore della ristorazione ed in quello alberghiero, veri beneficiari dell’invasione umana, che hanno cercato di sfruttare tutte le loro potenzialità, spingendosi anche oltre la soglia delle stesse, per agevolare il rito “orgiastico” del pasteggiamento e del brindisi ad oltranza, regola che ha scandito la tre giorni orobica.
     Scorrendo le pagine dei quotidiani locali, che con una certa comprensibile enfasi hanno magnificato l’avvenimento con un tocco di sano provincialismo e di retorica accessoria, si possono trarre diverse considerazioni che raccolgono un po’ i tanti punti di vista suggeriti dall’osservazione acritica del fenomeno.
     La straordinarietà dell’evento ha, tanto per cominciare, spinto l’Amministrazione ad una tolleranza che ha prevalso per l’intero fine settimana. Se da una parte ciò ha alleggerito il compito di sorveglianza del territorio dall’altra i residenti sono stati inevitabilmente costretti a subire un clima di goliardia casereccia che si è quasi ininterrottamente protratta anche nel corso delle ore notturne. Canti, urla, sirene, musica, campanacci, rombi di motore ed orpelli vari hanno accompagnato i cittadini nella ricerca di un faticoso riposo. Da questo piccolo ma non indifferente particolare si è ricavato un principio paradossale ovvero che il diritto della popolazione alla quiete o, comunque, ad un minimo sindacale di essa, è stato subordinato al diritto non scritto che la manifestazione ha imposto, cioè quello di far baldoria senza tener conto di alcune elementari norme che disciplinano il vivere civile. Tanto è bastato per inibire qualsivoglia tentativo di protesta che, in un’occasione come quella appena trascorsa, sarebbe suonato quasi come un affronto alla sacralità e allo spirito dell’adunata, aspetti che non potevano certo essere messi in discussione neanche da coloro che, da spettatori passivi, avrebbero auspicato, speranzosi,

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