Ci si chiede, dunque, al di là di un diffuso ed imperante sentimento laicista ispiratore di decisioni epocali, se la sentenza più che affrontare ambiti di diritto non vada a toccare o addirittura a ledere la sfera della sovranità dello Stato. La questione dell’esposizione del crocefisso, che è rivelatrice di una chiara modalità simbolica, è stata affrontata sia dalla Corte Costituzionale sia dal Consiglio di Stato ed è stata risolta attraverso precise motivazioni secondo le quali il crocefisso rappresenta un simbolo che testimonia una valenza culturale ancor prima che religiosa e che riflette non solo la fede prevalente nel nostro Paese quanto soprattutto una tradizione pluri-secolare radicata nella società.
     Al di là d'ogni disputa che offre l’occasione per costruire un pretesto per contagiare anche le appartenenze politiche, resta fermo un concetto, ovvero come l’antica tradizione di esporre il crocefisso non possa suonare come offensiva per nessuno né, tantomeno, possa essere percepita come inibizione di altrui credo religiosi. Sarebbe, anzi, offensivo pensare che ciò possa offendere qualcuno, ma nell’Europa unita e sempre più protesa a sperimentare allargamenti sollecitati da manovre geopolitiche ed economiche che a ricercare una condivisione di principi etici, albergano forse la presunzione e la pretesa di voler regolare aspetti del vivere quotidiano che scavalcano il mero diritto e che sconfinano nel campo della sensibilità comune.
     È paradossale constatare come la decisione di un organo supremo, sollecitata dall’iniziativa di un cittadino evidentemente mosso da sensibilità contrarie al sentire collettivo, possa, facendosi scudo del vessillo della laicità dello Stato, rovesciare tradizioni millenarie senza tener minimamente in considerazione le pronunce di organi giurisdizionali nazionali e, a maggior ragione, le secolari tradizioni popolari. Purtroppo la burocrazia europea, che spesso legifera “umoralmente” per uniformare acriticamente comportamenti e per modificare atteggiamenti, dimenticando singole realtà e consolidate abitudini popolari, diventa la punta dell’iceberg di una Europa frettolosamente assemblata e poco sensibile alla storia dei singoli Paesi.
     Il caso che una Corte, sebbene autorevole, impedisca, per tutelare le diversità, il ricorso a lecite forme di rappresentazione di simboli come metodo di affermazione, non fa venir meno il principio secondo il quale esistono, a tutte le latitudini ed in senso assoluto, usi e costumi che vanno rispettati. La croce, come ha ben osservato Umberto Eco, è un fatto di antropologia culturale in quanto il suo significato è profondamente radicato nella sensibilità comune ed è una sensibilità che non può essere né offesa né sacrificata in nome di diversità alle quali si vuole, con una malcelata ipocrisia, attribuire maggior pregio o attenzione.

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