LA POLITICA DEL BEL PAESE IGNORA I PROBLEMI REALI
di Pierluigi Piromalli
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La politica italiana, nonostante la complessa congiuntura economica internazionale stia mettendo a dura prova, da qualche anno, i sistemi sociali e politici dei Paesi più industrializzati, si dibatte in modo isterico nell’affrontare argomenti ampollosi e non prioritari nell’agenda dell’esecutivo, ma che occupano spazi rilevanti sui quotidiani, deviando l’attenzione dell’opinione pubblica dalle vere questioni che affliggono il Paese. Si vive insomma sulla percezione di finti problemi nostrani che diventano problemi collettivi, pur nella consapevolezza di trovarsi di fronte ad un momento di difficoltà epocale che ha reso necessario l’intervento dei massimi organismi di controllo, quali il Fondo Monetario Internazionale, per tamponare situazioni di estrema complessità sociale come, per esempio, la crisi della Grecia. La nuova legislatura ha insomma individuato una serie di argomenti gettonati che dal legittimo impedimento si sono snodati al DDL intercettazioni, all’ipotesi di riforma della Carta Costituzionale, a quella della giustizia fino alle crociate contro la magistratura, tralasciando di indagare sulle reali situazioni di gravità che attraversano il Paese e sulle quali, ogni tanto, l’Unione Europea richiama l’attenzione.
L’Italia è purtroppo una nazione destinata ad una lunga stagnazione a causa di una complessiva inadeguatezza della classe politica che, concentrata essenzialmente sulla reciproca denigrazione e sul tentativo di sottrarre consensi alla fazione avversaria, non riesce a rispondere alle esigenze di modernità che il Paese chiede. Cosicché, resistono i baluardi del conservatorismo e le annunciate riforme appaiono sempre più miraggi nel deserto.
La stagnazione cui sembra condannata l’Italia, non certo per mancanza di idee o capacità dei propri cittadini quanto per la sostanziale miopia della politica, genera alti costi morali perché in una società statica non può esserci competitività e quindi stimolo alla crescita. I dati e le statistiche parlano di crescita zero e raccontano di un Paese sostanzialmente fermo e le liberalizzazioni intraprese dall’allora ministro Bersani, accolte con scetticismo ma alla fine recepite come una ventata di riformismo necessario per adeguarsi al mondo che cambia, avevano rappresentato un significativo punto di partenza e, se si vuole, di rottura con la concezione post bellica di un assistenzialismo diffuso ed antistorico.
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