L'ARMATA PERDUTA
di Valerio Massimo Manfredi
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La storia antica continua a dare un'infinità di spunti a letteratura e cinema moderni; da Leonida e i suoi trecento guerrieri martiri alle Termopili, ispiratori del film “300”, alle grandi figure di condottieri come Alessandro Magno e Cesare, l'eroismo e i valori dei nostri antenati non cessano di affascinare il pubblico. Uno dei più famosi scrittori italiani di genere è sicuramente Valerio Massimo Manfredi, archeologo, esperto di topografia antica e docente all'Università di Bologna: la sua formazione accademica è sempre stata per i lettori garanzia di ricostruzioni storiche accuratissime, grazie a cui i romanzi sono del tutto verosimili, senza gli anacronismi che, ahimè, permeano anche i più blasonati Blockbuster hollywoodiani.
Nel 2007 viene pubblicato “L'armata perduta”, destinato a vincere il Premio Bancarella nel 2008. Il romanzo ripercorre l'avventura dell'armata di mercenari greci nel 401 a.C., narrata nell'Anabasi di Senofonte: assoldati dal principe persiano Ciro il Giovane per detronizzare il fratello Artaserse II con un colpo di stato, i diecimila affronteranno una lunga marcia attraverso il vicino Oriente, alla volta di Babilonia. Nel libro di Manfredi, la narrazione è affidata, inusualmente, ad una donna, Abira: proveniente da un minuscolo villaggio siriano, Beth Qadà, Abira conobbe Xeno (diminutivo di Senofonte) quando l'armata dei diecimila passò nei pressi del villaggio, nel corso della marcia di avvicinamento. Abira, destinata ad un matrimonio combinato dai genitori con il cugino, si innamorò del soldato e quando lui le propose di seguirlo, accettò. Iniziò così il suo viaggio al seguito dei diecimila; mentre il compagno Xeno si dedicava a compilare i diari di viaggio, lei scopriva la vita quotidiana nel microcosmo dell'armata. I guerrieri erano stati ufficialmente assoldati per sedare le rivolte di alcune tribù barbare; con il passare del tempo e dei chilometri, tra le truppe iniziò a diffondersi la voce del vero motivo della spedizione, ovvero rovesciare il trono di Artaserse. I diecimila (in realtà poco più di tredicimila) guerrieri greci dovevano costituire la punta di diamante dell'esercito di Ciro; la fama dei famigerati Mantelli Rossi, gli invincibili guerrieri spartani, era entrata nella leggenda dopo l'eroica resistenza di Leonida e dei suoi trecento guerrieri alle Termopili, ottant'anni prima.
La battaglia decisiva avvenne alle porte di Babilonia, nel villaggio di Cunassa: dopo uno scontro epico, i greci ebbero la meglio sulla parte di esercito persiano che fronteggiavano. Tornati al campo base, scoprirono però che il resto delle truppe mercenarie di Ciro era stato sconfitto e lo stesso Ciro ucciso e impalato dal fratello. I persiani, nonostante la superiorità numerica, non cercarono lo
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