inaridita. Non so se Cassola volesse dipingere in modo disfattista il comunismo e la Resistenza; forse questa lettura è troppo legata ad un piano politico che qui non voleva essere rappresentato se non come sfondo della maturazione di una donna. I fascisti, infatti, non sono rappresentati come personaggi negativi tout-court: lo stesso Bube, detto “il Vendicatore”, è quasi una vittima della voglia di rivalsa di altri antifascisti che non hanno il coraggio di macchiarsi le mani direttamente. Le sue, di vittime, dai fascisti o presunti tali picchiati su sollecitazione della folla, al figlio del maresciallo ucciso per vendicare l'amico morto, non sono altro che pedine di un gioco insensato che portò l'Italia in quel vortice di sangue descritto da Pansa ne “Il sangue dei vinti”.
     La soluzione, sembra capire Mara alla fine del libro, è l'accettazione rassegnata delle conseguenze delle proprie azioni; la dignità, per i fascisti come per i partigiani che si sono lasciati andare a violenze a volte poco giustificate, è scontare la propria pena e sviluppare un pentimento reale, che li porti a desiderare un futuro costruttivo e tranquillo.
                                                                               Silvia Ferrari

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Recensione, La ragazza di Bube, Carlo, Cassola, Premio Strega, 1960, Antologia, Val d'Elsa, Partigiani, Resistenza, Comunismo, Bube