provare. A casa ci si continua ad allenare; questa disciplina non è uno sport fine a se stesso, ma è un modo di concepire la vita.
“Sifu significa padre, maestro…” prosegue Riccardi. È un riconoscimento dedicato a quanti si prodigano per il Wing Chun, senza chiedere nulla in cambio, se non apprendere. È ‘Maestro’ chi si dedica al Wing Chun, chi accoglie a sé altre persone e le segue nella loro crescita nel corso degli anni, perché il loro progresso è anche la crescita del maestro.”
Sono le 11:00. Due gruppi separati affollano la palestra comunale di San Colombano: le magliette nere da una parte, gli allievi, che eseguono movimenti fluidi e quasi precisi, si ammira la tecnica ed il loro allenamento; dall’altra parte le magliette bianche, i neofiti, facce perplesse, curiose ma entusiaste, che provano i movimenti base ed hanno occhi solo per i sifu. Tanti punti
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interrogativi sui loro volti: ma come si fa a diventare così bravi? Sono stanchi, esausti, l’allenamento li sfianca, ma il maestro così li esorta: “Si tratta solo di difesa personale. L’avversario non è un sacco da colpire, non dovete scaricare su di lui tutta l’energia del vostro corpo. Uno, due, tre colpi esplosivi, basta, fermi, usate la tecnica, non la violenza.”
Alle 13:00 si conclude anche lo stage… inizia la festa con pizza, insalata di riso, tramezzini, torta e sangria per tutti. Non più allievi e maestri, ma tanti amici che si divertono insieme.
Noi, approfittando di un momento di relativa tranquillità del sifu Riccardi, lo abbiamo cercato per fargli qualche domanda.
Sifu, perché questa iniziativa?
“Ci sono tante scuole di Wing Chun, ma la mia è diversa. In quindici anni |
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