scuola di vita, insegna a socializzare, ad abbattere le barriere politiche e religiose, non esiste un colore diverso della pelle. Apparentemente sembra uno sport violento, invece insegna a lavorare in team, a sostenersi l’un l’altro. Chi si permette di fare del male agli altri intenzionalmente ha finito di giocare immediatamente. I coach sono irreprensibili. “Il rugby è uno sport di contatto, rude,” ci spiegò Nadir Corbari nel novembre del 2008, “ed ha una grande funzione formativa sui ragazzi: la base principale dello sport è proprio il rispetto totale delle regole, se non lo fai sei fuori. Ci sono anche dei principi ‘non scritti’, quali il rispetto dell’avversario, in quanto in ogni momento è possibile fare del male all’altro, soprattutto quando uno è a terra. Se non rispetti chi hai davanti, sei out, vieni espulso perché la squadra non te lo perdona.”
A questo punto qualcuno potrebbe dire che è così anche nel calcio. Sì, potrebbe esserlo, dovrebbe esserlo, ma non lo è. Tanto per iniziare, di rugby non ci si vive; forse ai massimi livelli, ma le cifre sono ridicole in confronto ad un
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giocatore di calcio e poi si tratta di una posizione per pochi eletti. Di conseguenza, chi sceglie il mondo del rugby lo fa solo per passione. Nel calcio, invece, girano molti soldi; già ai gradini più bassi qualcosa ti finisce in tasca, cosicché |
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sono pochi coloro che lo fanno per passione. Molti sperano in un lavoro a tempo pieno; tutti sognano il colpaccio, quello di entrare in un club nazionale. Insomma, poca passione, molta avidità, troppo protagonismo a danno dei compagni per emergere, per essere notati dalla persona giusta, da quella importante. No, questa non è armonia, non è sportività, non è passione.
Chiudiamo rispondendo alla domanda, ora: premesso le motivazioni testé dette, Infobergamo.it non è letto solo a Bergamo (“il primo mensile on-line di cultura ed informazione bergamasca”), è conosciuto quasi in tutta la Lombardia e ci scrivono anche dei lettori del sud d’Italia (“il primo periodico bergamasco letto in tutta Italia”). Ci conoscono anche a Lodi, anzi, a maggior ragione uno striscione pubblicitario al di là dei confini bergamaschi ci permette di crescere. “E allora…”, come dicono a Pavia, perché no?
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