procedure che appartengono ai compiti e alle funzioni del potere giudiziario che lui stesso, in qualità di capo dell’esecutivo, affianca come potere separato e autonomo.
     L’eufemistica contrapposizione tra i due poteri in questione non può, quindi, che essere percepita come una dichiarazione di belligeranza e l'inizio di un insanabile conflitto istituzionale, poiché continuare a rifiutare un giudizio equivale ad esprimere una sfiducia totale contro l'apparato giudiziario autorizzando i cittadini a comportarsi nello stesso modo. L’accettazione del processo costituirebbe, invece, un atto di trasparenza e, allo stesso tempo, l'occasione storica per far valere non solo le proprie ragioni ribaltando il teorema accusatorio, ma, addirittura nella migliore delle ipotesi, per dimostrare l’inverosimile impianto accusatorio che finirebbe per essere letto, da parte dell’opinione pubblica, come autodelegittimazione della stessa magistratura, la quale non avrebbe fatto altro, in tal caso, che ipotizzare una realtà distorta confermando i sospetti della strumentalizzazione e dell’azione politicizzata.
     Purtroppo, la realtà italiana è ancora condizionata da questo pericoloso cortocircuito tra politica e magistratura, un nodo che risale alla cupa stagione di Mani Pulite e che il Paese e le istituzioni non sono ancora riusciti a sciogliere. Bisogna insomma evitare che questa turbolenta (sexi) legislatura finisca mestamente per essere giudicata in un'aula di Tribunale e il solo modo per impedire questo fosco destino è quello di prendere atto che se mancano le condizioni per governare a causa della insanabile frattura tra le forze politiche, sia il caso di affidare agli elettori ogni decisione futura e, al contempo, far chiarezza sulle posizioni processuali, per dimostrare che la politica, quella solennemente nata con la “polis” greca, non si predica nei palazzi di giustizia, ma nei parlamenti e nei seggi elettorali.

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