FERRARA, STORIE DI GENIO E FOLLIA
di Massimo Jevolella
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Se Praga, Lione e Torino sono comunemente definite come le tre “città magiche” d’Europa (di Praga e Lione abbiamo già parlato in questa rubrica, e anche a Torino prima o poi arriveremo!), ebbene, non dobbiamo per questo pensare che in altri luoghi non abitino degli spiriti meno famosi e potenti. Poniamo il caso di Ferrara, splendida città d’arte, uno dei gioielli rinascimentali che hanno reso grande il nome dell’Italia nel mondo. C’è una strana luce a Ferrara. Forse, per usare le parole dello scrittore Roberto Pazzi, sarà: “quell’aura che pare fermare il colore rosso del sole nel cotto dei mattoni con cui sono fatte le sue case più antiche e più belle”. Di sicuro è un’atmosfera particolare, capace di irretire le anime sensibili di poeti, artisti e innamorati. O di farle impazzire?
A Ferrara, il cardinale Ippolito d’Este, geloso della diciottenne Angela Borgia, tentò di cavare gli occhi al fratello Giulio. A Ferrara, la bella Lucrezia Borgia, dal fascino fatale, concepì gli ardori dell’ascesi religiosa e giunse al punto (pare) di indossare il cilicio, prima d’essere uccisa da un’emorragia al termine di una gravidanza. E sempre a Ferrara il grande e sventurato poeta Torquato Tasso, anch’egli vittima di tormenti religiosi, cominciò a vedere fantasmi e impazzì: “Mi è paruto vedere alcune fiammette nell’aria… ho veduto ancora ombre di topi. Ho udito strepiti spaventosi… e dormendo m’è paruto che mi si butti un cavallo addosso… e fra tanti terrori e tanti dolori, m’apparve in aria l’immagine della gloriosa Vergine, col figlio in braccio, in mezzo a un cerchio di colori e di vapori.”
Questa magica aura ferrarese, benigna o malefica a seconda dei casi, era celebre in età rinascimentale persino al di là dei confini dell’Italia. Valga un esempio per tutti. Si favoleggiava, agl’inizi del XVI secolo, di uno spiritello diabolico chiamato Crespolino, che aveva eletto a sua dimora i dintorni della città padana, e per un certo periodo s’era espresso per mezzo del ventre di una popolana, nota come Jacopa Rodigina. La voce giunse addirittura agli orecchi del grande scrittore francese François Rabelais, che di quel prodigio si occupò e se ne dichiarò testimone diretto: “Tale era, nell’anno del nostro benedetto Salvatore 1513, Jacopa Rodigina, italiana, donna di bassa condizione. Dal ventre della quale noi abbiamo spesso udito la voce dello spirito immondo, certamente bassa, flebile e piccola: tuttavia ben articolata, distinta e intelligibile… Questo spirito maligno si faceva chiamare Crespolino o Cincinnatulo e sembrava prender piacere a esser così chiamato. Quando lo si chiamava così, subito alle domande rispondeva.”
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