potenza del simbolo. Non appartiene alla terra, non appartiene al mare. Sorge da un limbo sabbioso e incessantemente mutevole. Di ora in ora, a seconda dei venti, delle luci e delle titaniche maree, quel regno di conchiglie e di gabbiani largo quindici chilometri e solcato da tre piccoli fiumi cambia le sue forme e i suoi colori. Quando i banchi sabbiosi emergono è una tavola di madreperla, un’irregolare mezzaluna di alabastro venato che sconfina nell’azzurro e nel grigio verso le profondità atlantiche, e nel verde verso i fertili campi della Normandia. Quando è invasa dal mare è una laguna immensa e quieta, increspata e tagliata dai flussi imprevedibili dei venti e delle correnti fluviali non più incanalate negli alvei. Quando, infine, la marea si ritrae, è un labirinto inquieto di rivoli e di fiumane, pozzanghere e laghi, tra cordoni e ciambelle di isole effimere, cespugli fradici di erbe rossastre e pozzi di micidiali sabbie mobili.
     Una diga e una strada, nel 1877, allacciarono la costa alla roccia di Michele. Su quella strada, resa nel tempo sempre più comoda e carrozzabile, vanno e vengono attualmente più di tre milioni di visitatori all’anno e il sito fa parte ormai dei beni mondiali protetti dall’Unesco, come Patrimonio dell’Umanità. Ma in passato, raggiungere il Mont-Saint-Michel fu un’impresa perigliosa: un errore nella previsione della marea quotidiana poteva costare la vita, a meno di un miracolo, come accadde esattamente mille anni fa, nel 1011, quando una sposina incinta volle attraversare la baia per pregare Michele sul suo monte. Non s’accorse che le onde avanzavano, veloci come cavalli al galoppo, si vide morta e per l’emozione fu colta dalle doglie, ma l’arcangelo da lei invocato la salvò, costringendo il mare a vorticarle intorno senza toccarla, mentre lei partorì sul fondo di quel pozzo miracoloso, chiamando il figlio Péril (Pericolo), a memoria della morte scampata.
     Mont-saint-Michel entrò nella storia della spiritualità cristiana grazie a un uomo chiamato Aubert. Era il vescovo di Avranches, cittadina a due passi dalla costa. Conosceva una rupe, nella baia che separa la Normandia dalla Bretagna, che la gente venerava a causa di un’antica superstizione pagana. Era al centro, dicevano, della scomparsa selva di Scissy, un luogo magico dove le sacerdotesse druidiche offrivano frecce incantate ai giovani marinai. Il nome celtico della rupe era Tun, che poi divenne Tomba nel linguaggio neolatino. Una notte dell’anno 907, Aubert vide in sogno l’arcangelo Michele, il quale gli ordinò: “Vai sul Monte Tomba e costruisci una chiesa.” Dopo qualche esitazione, e dopo un nuovo invito notturno, Aubert obbedì.
     La lunga e complessa storia architettonica di Mont-Saint-Michel ebbe inizio

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