Sanzio, è stato eletto capomastro della fabbrica di San Pietro, viene chiamato senza indugi alla presenza del papa.
     Ed ecco che il Sangallo, con il suo praticissimo ingegno, non tarda in effetti a escogitare la soluzione per l’acqua. Un’idea tanto semplice e perfetta quanto ardita e fantasiosa. Esaminando da valle la rupe di Orvieto, l’architetto si accorge che all’estrema punta orientale della bastionata rocciosa c’è una ricca sorgente: sono le antiche fonti di San Zeno. E dice: «Questa è l’acqua che ci salverà». Lo prendono per pazzo: e chi la porterà lassù? Osservazione assolutamente sensata. Si sarebbe trattato, infatti, di superare un dislivello di una cinquantina di metri e con l’aggravante, in caso d’assedio, di dover chiedere il permesso di transito ai lanzichenecchi! Tuttavia il Sangallo non si scompone. Nella sua mente è nata l’idea del pozzo. Il pozzo più incredibile che fantasia umana abbia mai concepito nella storia fino a quel giorno.
     Quando il papa vede il progetto strabuzza gli occhi, barbuglia una frase di stupore, ma non ha esitazioni. Dà immediatamente l’ordine che si comincino i lavori. Gli operai si mettono a scavare, ma la roccia è dura assai. Sei mesi dopo, nel giugno del 1528, il papa lascia Orvieto. Si trasferisce a Viterbo, per essere più vicino a Roma, ma prima di partire ordina: «Costi quel che costi, voglio comunque che il pozzo sia finito». E così avviene, ma solo nove anni dopo! L’opera giunge a compimento nel 1537, quando Clemente VII è già morto ormai da tre anni, ed è un capolavoro d’arte e di ingegneria, che sembra studiato apposta per evocare immagini di sogno e fantasmi di favole tenebrose.
     Il pozzo, profondo 62 metri e largo 13, è un gigantesco cilindro verticalmente diviso in due settori concentrici. Nella parete divisoria si aprono 72 finestre centinate che hanno la funzione di trasmettere la scarsa luce proveniente dall’imboccatura del pozzo alle due scale situate nel settore “esterno” del cilindro. Queste scale sono il vero capolavoro del Sangallo: formate ciascuna da 248 gradini, comodi al punto da permettere il transito degli asini e dei muli adibiti al trasporto degli otri dell’acqua, scorrono sovrapposte l’una all’altra, con andamento a chiocciola, sì da convogliare il traffico in due direzioni separate, una ascendente e l’altra discendente. Così le bestie da soma potevan scendere e salire continuamente, senza intralciarsi, e la città poteva contare su un rifornimento idrico abbondante, sicuro e di eccellente qualità.
     Ecco che noi torniamo al punto di partenza: il Pozzo di San Patrizio. Perché? Quando fu costruito, il fantastico pozzo di Orvieto fu subito battezzato col nome di Pozzo della Rocca, ma, col passar degli anni, nacquero intorno ad esso,

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