assoluta del tessuto sociale e delle sue convenzioni e convenienze: la “banalità del male”, se vogliamo ricorrere ai paroloni consacrati dalla storia. Ma i paragoni non sono azzardati, caro Giacomo. Perché la radice delle tragedie sociali è in fondo sempre la stessa: l’insicurezza del gregge, la paura degl’indifesi, la sottomissione automatica a un sistema di potere che si avverte come antico, naturale, rassicurante.
Caro Giacomo, ormai hai capito che io non sto scrivendo qui per te una normale “recensione” al tuo libro. Il libro è estremamente ricco di dati, fatti, storie, aneddoti. È un’opera documentatissima e valida sotto ogni aspetto, anche sotto quello puramente letterario, perché tu sai anche scrivere molto bene. Hai capito che in fondo io sto cercando di parlarti e di incoraggiarti su quella che a mio parere è la via più difficile, ma anche più importante da seguire: la via della rivoluzione culturale. Il tuo concetto di giornalismo “residente” ne è una prova. Tu hai capito che la lotta alla mafia non la faranno mai veramente i governi e le forze dell’ordine. Anche i magistrati, con tutto il loro eroismo e la loro forza di volontà, non ce la faranno mai a estirpare il cosiddetto “fenomeno mafioso” da quella che Sciascia chiamava “l’isola irredimibile”. Perché la mafia è una pianta che ha innanzi tutto profonde radici culturali ed è su quel fronte che occorre, con tutte le energie, disperatamente, combattere. Sì, per “cambiare la mentalità della gente”, per dirla nel modo più semplice. Per abbattere quelle paure, quelle insicurezze, quei moti automatici di sottomissione alla perversione del potere. Per questo io ti ringrazio, caro Giacomo: perché tu, anche se giustamente non ti atteggi ad eroe, sei un esempio di questa “allegria della mente”, di questa bella pazzia che può sconfiggere la mentalità criminale mostrandone la reale impotenza, il ridicolo e il vuoto abissale.
Copertina de "L'Invisibile" (PDF da 430 KB)
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