MERCATI IMPAZZITI E MERCATO DELL’ARTE
di Cristiano Calori
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L’estate 2011 sarà ricordata come quella della paura, dei crolli di Borsa e di una diffusa percezione che qualcosa (di brutto) stia per accadere. Certamente le correzioni degli indici di Borsa dimostrano come la società odierna sia vulnerabile e psicologicamente labile a tutti quei bombardamenti mediatici a cui è sottoposta quotidianamente, in sostanza il termine “società liquida”, come acutamente osservato dal sociologo Zygmund Bauman, è quanto mai azzeccato per descrivere la contemporaneità.
La crisi finanziaria che ha colpito il mondo globale ha messo a nudo fragilità e nevrosi del nostro sistema, ma anche denunciato come l’intero sistema economico-finanziario del mondo occidentale sia gravemente malato. Malato di vecchiaia, pessimismo, sfiducia nel futuro, ma anche della bramosia di volere tutto e subito, così avviene che in Borsa chiunque, anche il risparmiatore medio, cerchi di massimizzare il suo impegno finanziario in pochi mesi, le posizioni rimangono aperte giusto il tempo di un rialzo per prenderne i benefici la mattina dopo.
Queste dinamiche che siamo ormai abituati a conoscere nel mercato finanziario stanno diventando sempre più sovrapponibili al mercato dell’arte, che da alcuni anni gode di un’ottima salute, ma che è sempre più legato a logiche finanziarie in cui gli speculatori abbondano ed è sempre più orfano di appassionati e collezionisti illuminati.
Il mercato dell’arte così come lo conosciamo oggi si è sviluppato e diffuso capillarmente anche ai ceti medi della società, dalla fine degli anni sessanta ad oggi, dopo che per secoli era stato esclusivo campo di interesse di nobiltà, clero e alta borghesia. Medici, professionisti in genere, artigiani e piccola media borghesia, per alcuni decenni sono stati la componente principale del collezionismo d’arte in Italia; per il collezionista la passione e il piacere di possedere e conoscere un’opera era lo scopo principale del suo interesse. L’aspetto speculativo era marginale rispetto alle altre qualità, al limite si era contenti se, dopo essersi goduti un’opera per alcuni anni, avendo agito da piccolo salvadanaio, la si poteva rivendere per recuperare i propri soldi e forse qualcosa in più.
Oggi, la finanziarizzazione del mercato dell’arte e la diffusione delle informazioni, non sempre approfondite e libere da condizionamenti, ha prodotto e (dis)educato una serie di nuovi collezionisti, i quali, principalmente, sono interessati allo “investimento” in arte, che dati alla mano rimane comunque uno dei migliori dopo l’immobiliare, ma sempre più condizionati dalle mode e da
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