L’UNIONE EUROPEA: CRISI REALE?
di Pierluigi Piromalli
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La Confindustria, a margine della manovra varata dal governo Monti, ha recentemente lanciato un allarme dai contenuti quasi apocalittici, che ammonisce la collettività dei rischi di un crollo dell’Euro. L’organismo presieduto dalla Marcegaglia ha, infatti, ipotizzato conseguenze disastrose nel caso in cui la moneta adottata dall’Unione Europea dovesse dissolversi e non reggere l’urto della difficile situazione congiunturale ed economica che ha investito il Vecchio Continente.
Il Centro Studi di Confindustria, analizzando gli scenari economici globali e stimando una eventuale, quanto si spera remota, probabilità di dissoluzione della moneta unica, ha valutato come una tale e nefasta ipotesi causerebbe una perdita compresa tra i sei e nove milioni di posti di lavoro in ognuna delle quattro economie principali dell’Eurozona, Italia inclusa, con fallimento di imprese e Banche e con contrazione del PIL (Prodotto Interno Lordo) tra il 25% e il 50%, oltre ulteriori effetti collaterali. Più realisticamente, la situazione attuale, per quanto riguarda il nostro Paese, origina da un insieme di fattori che non sono solo riconducibili alla crisi economica globale, ma principalmente alla condizione sociopolitica, la quale espone l’Italia a rischi maggiori, pur restando evidente il fatto che nel Paese continui a prevalere ancora un benessere diffuso a fronte di una complessiva mancanza di obiettivi per lo sviluppo e per la crescita.
Se, quindi, il governo Monti da una parte ha forzatamente dovuto varare, in prima battuta, una manovra rivolta al controllo dei bilanci e ad acquisire liquidità agendo, ancora una volta, sui meccanismi della tassazione diretta ed indiretta oltre che rivedere il sistema previdenziale, dall’altra sarà chiamato necessariamente ed inderogabilmente a concentrarsi su politiche che mirino alla crescita e allo sviluppo, poiché la mancanza di una tale previsione determinerebbe solo un peggioramento e un’agonia del sistema Paese, che non può più reggere l’urto di manovre correttive a meno che queste non comincino a tagliare severamente la spesa pubblica. Senza sviluppo e crescita non si riuscirà a contenere il debito pubblico in nome del quale i governi continuano a cercare soluzioni senza trovarle.
Il problema dell’Italia risiede quindi in una politica miope e dilettantistica che, nel corso di questi anni ed anzi a partire dalla cosiddetta seconda Repubblica, ha pensato più a favorire divisioni intestine, guerre ideologiche,
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