La spirale critica della crisi economica che sta investendo l’Europa e sta mettendo in ginocchio i mercati finanziari ha costretto l’Esecutivo, presieduto da Monti, dopo il varo della rigorosa manovra aggiuntiva, a programmare l’adozione di misure finalizzate a stimolare lo sviluppo e la crescita del Paese.
È ormai in dirittura d’arrivo il pacchetto di liberalizzazioni invocate da più parti e poste all’ordine del giorno della cosiddetta “fase 2”, che vedrà il Governo alle prese con lo sdoganamento di lobby, caste, corporazioni e associazioni più o meno strutturate, rappresentative degli interessi delle singole categorie economiche e produttive. L’imperativo categorico che risuona nella “valle delle lacrime d’Italia” è, insomma, quello di non fermarsi all’imposizione fiscale come forma di salvezza dello Stato, ma di intervenire sul sistema organizzativo delle libere attività, delle categorie professionali e dei servizi, per agevolare la concorrenza e iniettare forze nuove nel mercato del lavoro, abbattendo le cosiddette ed osteggiate “rendite di posizione”. Ci si pone ora la domanda se effettivamente il processo di liberalizzazione del mercato e quindi delle attività produttive e delle professioni rappresenti una delle soluzioni ai problemi del Paese oppure vada vista come un tentativo di intervenire nelle specifiche aree del lavoro autonomo per accontentare l’opinione pubblica, l’Unione Europea del duopolio Francia-Germania e soprattutto i mercati finanziari, in attesa di nuove iniziative legislative per alimentare la loro sete di investimento.
Secondo studi condotti da organizzazioni settoriali delle piccole imprese, le liberalizzazioni, dati alla mano, avrebbero in passato prodotto, in Italia, pochi vantaggi per i consumatori, registrandosi, al contrario, vere e proprie impennate dei prezzi e delle tariffe. Vale la pena ricordare, al riguardo, gli aumenti dei premi operati dalle compagnie assicuratrici, la lievitazione dei costi dei servizi bancari e finanziari, dei servizi di trasporto ferroviario, di quelli postali e dell’energia elettrica, rompendo, è vero, una situazione di monopolio pubblico, ma consegnando ad oligarchie controllate dai privati l’imposizione dei prezzi. Ora, le proteste più vigorose provengono dai tassisti e dai gestori dei distributori di carburante, che ovviamente osteggiano le intenzioni del Governo di aprire alla concorrenza, e al coro si uniscono anche i rappresentanti delle altre categorie economiche e professionali, che ritengono la liberalizzazione sinonimo di anarchia e di concorrenza selvaggia, con drastica riduzione della qualità del servizio e, di conseguenza, lesione dei diritti della collettività. Se già, quindi, per