energia, servizi primari e trasporti gli effetti della liberalizzazione, con la pubblicazione dei dati riscontrati, hanno dimostrato che gli sperati benefici per l’utenza in realtà sono stati traditi, si potrebbe dubitare che anche l’imminente pacchetto di decisioni, così come concepito, possa tradursi in un ampliamento del mercato del lavoro, ma senza una concreta convenienza per la collettività.
     La richiesta di procedere ad una analisi articolata e realistica del contenuto delle singole liberalizzazioni non vuol dire mettere in dubbio necessità e importanza delle stesse o voler per forza tutelare le corporazioni interessate, ma significa evitare che ci si riduca solo ad un esercizio di retorica politica, ignorando il contraccolpo che potrebbe generarsi. La liberalizzazione, così come è stata annunciata, è in sostanza la sintesi di un duplice vizio che nasce innanzitutto in ambito europeo, dove si conferma il potere dirigista e regolatore dei burocrati di Bruxelles, e finisce per consolidarsi nel contesto nazionale dove il Parlamento e il Governo abdicano alla propria funzione di indirizzo, di controllo e di direzione, spalmando sulle categorie interessate i rischi di una vera e propria deregulation, che potrebbe destabilizzare anche gli stessi fruitori dei servizi.
     Analoghe considerazioni valgono per l'aumento del numero delle farmacie, per l'allargamento del numero dei notai e dei professionisti, per la libera contrattazione delle tariffe che, alla fine, si maschererà sotto il nome di libertà, ma libera non sarà. Sia chiaro, una correzione di rotta è sicuramente auspicabile e le liberalizzazioni rappresentano un’occasione per dare una scossa al mercato del lavoro e modernizzare certi meccanismi un po’ antistorici, ma occorre condurre una “rivoluzione moderata”, per non alterare un sistema comunque consolidato. Le spinte riformatrici non devono essere condizionate solo dall’ideologia e dal mito del mercato libero, che hanno ispirato la società capitalistica, ma devono porsi come scelte funzionali ad un’economia, ora boccheggiante, che deve essere rigenerata, badando però alla qualità, alle regole e ai metodi che dovrebbero orientare servizi e professioni.
     La necessità del cambiamento, imposta più dai diktat dell’Unione Europea che da una scelta spontanea del Governo, rischia di innescare, se gestita in modo umorale e indotto, una pericolosa deriva voluta proprio dal mercato libero, che ingloba tutto nell’economia, il sacro verbo al quale la “società” deve inchinarsi, riducendo ogni rapporto della vita umana a mera relazione di scambio e di competizione. In tal modo, spingendo verso un massiccio e incontrollato liberismo, si fanno venir meno le fondamentali funzioni dello Stato,

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