Continuiamo il nostro viaggio nel magico mondo degli olii vegetali, grandi alleati della nostra bellezza, ma questa volta lasciamo le assolate distese del Sahara per trasferirci nel lontano Cile, dove nasce un fiore incantevole dalle miracolose proprietà: la rosa mosqueta.
Si tratta di un arbusto selvatico, molto simile alla nostra rosa canina, appartenente alla famiglia delle rosacee, che cresce spontaneamente nei paesi del Sud America, come Argentina, Perù e Cile, zone dal clima temperato e piovoso, e il cui nome botanico è “rosa affinis rubiginosa”. Questa pianta ha uno stelo spinoso e produce, fra i mesi di ottobre e dicembre, profumati fiori bianchi o rosa dai pistilli gialli, oltre ad un frutto di colore rosso ricco di semi nel nucleo. La polpa di tale frutto, commestibile, ha un elevato contenuto di vitamina C e nei paesi latini è spesso utilizzata nella produzione di marmellate e conserve; in fitoterapia, invece, si usano le foglie e i petali per bagni ed infusi dalle proprietà astringenti e rinfrescanti, ma è proprio dai semi che si ottiene l’elemento più prezioso di questa pianta, l’olio di rosa mosqueta. Ricchissimo di due importanti acidi grassi polinsaturi essenziali, l’acido linoleico 45%, ricco di omega 6, e l’acido alfa linoleico 35%, saturo di omega 3, esso contiene anche una notevole concentrazione di antiossidanti naturali, tocoferolo (vitamina E), carotenoidi e numerosi fitosteroli. Tutti questi acidi grassi sono componenti fondamentali delle membrane cellulari e precursori delle prostaglandine, composti ormono-ensibili, che attivano la rigenerazione delle cellule, pertanto l’efficacia di questo olio sulla nostra epidermide è straordinaria.
Le virtù dell’olio di rosa mosqueta sono conosciute fin dall’antichità, tanto che su libri antichi è stata ritrovata una leggenda la quale racconta che fin dal 1500 le tribù indios Araucana ne facevano un grande uso per i suoi poteri miracolosi. Difatti, narra la leggenda che il cuore di un indio era consumato dall’odio per una bimba bianca che la sorella, rimasta schiava degli uomini bianchi per lungo tempo, aveva affettivamente adottato. Dopo essere stata liberata dal fratello, la donna scappò nella foresta trascinandosi dietro la bimba che, nel frattempo, era stata ripudiata dai bianchi, in quanto la propria pelle, inspiegabilmente, era orribilmente ricoperta di macchie scure. La donna non ebbe il cuore di sacrificare agli Dei la bimba, nonostante l’incitamento del fratello che nei confronti dell’infante nutriva un odio puro in quanto essa era il simbolo stesso di tutto il male che i bianchi avevano fatto agli indios.