LA DOMUS AUREA DI NERONE
di Massimo Jevolella
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Roma, 64 avanti Cristo, un evento misterioso spiana la via all’abuso edilizio più clamoroso della storia: la fantastica Domus Aurea di Nerone.
Verso la fine di aprile dell'anno 65 dopo Cristo, il “gran visìr” dell'Impero Romano, Tigellino, venne a conoscenza di una congiura di intellettuali e senatori che volevano uccidere Nerone e consegnare il potere a Calpurnio Pisone. Tigellino fu ben lieto di riferire la notizia a Nerone e la vendetta del tiranno fu atroce: tra le teste eccellenti che rotolarono nella polvere, oltre ovviamente a quella di Pisone, vi furono quelle del poeta Lucano, dello scrittore Petronio (l'autore del Satyricon), e persino quella del grande filosofo Seneca, il quale, avendo ottenuto il privilegio di uccidersi da solo, si tagliò le vene in casa sua con socratica rassegnazione. Ma tutta quell'orgia di sangue, a cosa era dovuta? Perché mai Pisone e compagni s'erano imbarcati nella rischiosa impresa di abbattere Nerone? Forse perché il tirannico imperatore stava esagerando con il suo assolutismo, con le pose artistiche deliranti, con i costumi corrotti? Indubbiamente sì, ma in realtà la causa scatenante della congiura era stata un'altra, a dir poco sorprendente: il progetto dell'abuso edilizio più clamoroso della storia mondiale.
L'anno precedente, nell'afa torrida di luglio, un terrificante incendio aveva devastato Roma, divampando per nove giorni dal Circo Massimo al Celio. Il rogo si era sprigionato per cause forse accidentali (ma in realtà destinate a restare avvolte in eterno dal mistero) da una delle tante casupole di legno delle insulae più povere; gli oppositori del tiranno avevano sparso immediatamente la voce che il folle piromane era stato Nerone in persona. Le cose poi andarono come ben sappiamo: l'imperatore incolpò dell'incendio i cristiani e ne fece giustiziare centinaia, crocifiggendoli, ardendoli vivi, gettandoli in pasto alle belve feroci. Se si fosse “limitato” a quello, forse avrebbe convinto i suoi nemici che aveva ragione. Invece, commise un errore fatale: una volta rimosse le macerie dei quartieri distrutti, quando si rese conto dell'enormità della catastrofe, dieci delle quattordici regiones di Roma erano state totalmente o parzialmente ridotte in cenere dal rogo, ebbe l'idea malsana di “sequestrare” tutto l'immenso territorio devastato dalle fiamme per edificarvi la residenza imperiale che già vagheggiava da anni: la Domus Aurea.
A tempo di record, ingaggiati a suon di sesterzi i due migliori architetti urbanisti dell'epoca, Severo e Celere, il megalomane tiranno volle che gli ottanta ettari di terreno che si estendevano dal Palatino al Celio, dall'Esquilino alla Velia, fossero trasformati in un trionfo ineguagliabile della bellezza, del lusso e della magnificenza imperiale. Non l'avesse mai fatto! Gli oppositori ebbero nuovi
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