un palazzo immenso, interamente dedicato all'ozio e al piacere del padrone di casa e dei suoi ospiti. Si estendeva su un fronte di 240 metri lungo il pendio meridionale del colle Oppio, in una successione di portici e terrazze panoramiche disposte in vista della valle e del magnifico lago (lo Stagnum Neronis) che aveva il compito di simulare il mare: l'intento degli architetti era infatti quello di ricreare, tra i colli di Roma, le stesse atmosfere della costa tirrenica tra Anzio e Baia, dove i patrizi dell'Urbe edificavano le loro meravigliose ville ritmate dai peristili interni ed esterni, adorne di statue e di affreschi, immerse nella frescura di giardini e fontane.
     Oggi, chi visita il Padiglione deve innanzi tutto compiere un incredibile sforzo di fantasia. Quello che nell'anno 68 dopo Cristo era un palazzo inondato di luce, ornato dagli affreschi del pittore Fabullo e risplendente di marmi, di alabastri, di gemme e di ori, oggi è una sorta di antro catacombale, reso ancor più impressionante e onirico dalle dimensioni ciclopiche dei suoi corridoi e dagli sviluppi labirintici delle sue stanze. È un regno dissepolto, in tutti sensi. Qui, per secoli, nessun uomo poté mai penetrare, perché gli ingegneri di Adriano avevano fatto rovesciare migliaia di metri cubi di terra e macerie nell'edificio di Nerone, innalzando persino una serie di muraglie parallele sul fronte sud per stabilizzare meglio il basamento delle Terme adrianee.
     Il percorso di visita si snoda da ovest verso est e attraversa solo una parte relativamente piccola delle 150 stanze che originariamente componevano l'edificio, dal Ninfeo di Polifemo alla Sala della volta dorata, fino alla Sala di Achille a Sciro, dove al centro della volta si distingue ancora con chiarezza la scena affrescata della giovinezza di Achille travestito da donna alla corte di Licomede sull'isola di Sciro, per volere della madre Teti, che sperava così, vanamente, di sottrarlo al suo tragico destino. Tuttavia, il clou della visita al Padiglione neroniano è la celebre Sala Ottagonale, molto ben conservata, davvero spettacolare per le sue ardite soluzioni architettoniche: la cupola monumentale tagliata da un grande lucernario, l'ambulacro suddiviso in ampie nicchie scandite da pilastri possenti, l'unico ambiente ancora oggi luminoso e, soprattutto, immerso in una sognante leggenda, perché proprio questa è la stanza che per molto tempo si è voluta identificare con la portentosa sala da pranzo ruotante descritta da Svetonio nelle sue “Vite dei Cesari”. Un prodigio di ingegneria, di scienza e di mistero che doveva permettere alla sala di girare su se stessa giorno e notte, senza fermarsi mai, allo stesso ritmo del moto terrestre e dei cicli armonici del cosmo.
     “Sic transit gloria mundi”, ma in questo caso si preferirebbe che quella gloria non fosse passata mai.

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