altre derrate alimentari. Il tutto lascia pensare più a una piccola città protetta da possenti mura che a un vero palazzo come noi oggi l'intendiamo. Perché mai gli storici si ostinano a definire “labirinto” queste pur grandiose e intricate e difficilmente decifrabili rovine, se di una vera struttura labirintica non esiste una traccia reale? La risposta ci viene dal fatto che, come testimoniano i numerosi reperti visibili nello splendido Museo archeologico di Iraklion, la parola “labirinto” sembra derivare dalla stessa radice consonantica della parola “labrys”, che in greco è il nome dell'ascia bipenne, cioè proprio dell'oggetto simbolico che sotto varie forme è emerso con maggiore frequenza negli scavi di Cnosso. In altre parole, “labirinto” non sarebbe altro che il nome dato al palazzo consacrato al simbolo dell'ascia bipenne: il “Palazzo del Labrys”.
     A questo punto le cose cominciano a chiarirsi, ma la figura di Dedalo rischia di perdersi davvero nelle nebbie della mitologia: esiste una relazione tra il “suo” labirinto e quello, verosimilmente storico, di cui abbiamo appena finito di parlare? La risposta a questo interrogativo ci riporta al mito e ce ne offre una possibilità di interpretazione assai interessante. Se noi osserviamo bene la forma del “labrys” ci rendiamo conto facilmente che essa presenta le figure speculari di due paia di corna o di due falci lunari, rivolta l'una verso il basso e l'altra verso l'alto. Questo perché il “labrys”, in realtà, altro non era che un simbolo di potere legato alle virtù magiche della divinità lunare, venerata in tutte le culture mediorientali e mediterranee sotto le sembianze del toro (come il toro lunare Enlil a Babilonia). Questo è fondamentale per la comprensione delle civiltà fiorite in seguito alla rivoluzione economica dell'età neolitica, essendo evidente la connessione tra la scoperta dell'agricoltura e l'importanza attribuita alle influenze astrali, della luna e del sole in primo luogo, nei cicli generativi della vegetazione. Inoltre, possiamo anche supporre con ragionevolezza che il “labrys” fosse proprio l'arma utilizzata nel sacrificio rituale del toro, così come appare nel mito di Teseo e in quello analogo di Eracle, giunto a Creta dall'Argolide per compiere la sua settima fatica, ovvero domare lo stesso toro che Poseidone aveva donato a Minosse e che in seguito s'era accoppiato con Pasife per generare il Minotauro!
     In questo modo, forse un po' tortuoso e… labirintico, scopriamo alla fine che tra il Palazzo del Labrys, fondatamente storico, e il Labirinto costruito da Dedalo nei racconti della mitologia, non esiste in realtà una vera contraddizione, né tantomeno un'assoluta incompatibilità. Il mito deve avere sicuramente “sceneggiato” a modo proprio una realtà storica ancestrale e una perduta tradizione rituale, consegnandoci la vicenda di Dedalo e della sua meravigliosa invenzione nelle forme affascinanti di una favola impregnata di significati autentici e di profonda verità.

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