FES. LA CITTÀ STREGATA DALLA “NOSTALGIA SPIRITUALE”
                                              di Massimo Jevolella

     Dov’è la favolosa “Madinat al-Baydà”, la Città Bianca di Fes, adorata nel XIV secolo dallo scrittore marocchino Abu Abd-Allah ibn Battuta? Tangerino di nascita, il grande viaggiatore attraversò l’Africa settentrionale e l’intera Asia, spingendosi fino al nord della Cina, senza mai dimenticare la città che lo aveva folgorato nel 1325, proprio all’inizio del suo lunghissimo pellegrinaggio per le terre dell’Islàm. Aveva scoperto le meraviglie dello Yemen, della Persia e dell’India, aveva solcato i mari dalle sponde della Siria a quelle della Somalia, dalle Maldive a Sumatra, ma il suo desiderio più intenso era sempre stato quello di rivedere Fes e di stabilirvi la sua dimora per gli ultimi anni della sua vita: «Viaggiai per tutta la Terra ma elessi unicamente la capitale Fes come mia residenza e patria».
     Era l’anno 1356 quando vergò su un foglio queste parole, le ultime della sua imponente “Rihla” (Viaggio), capolavoro della letteratura araba medievale, paragonabile per bellezza e importanza solo al “Milione” di Marco Polo.
     Fes era allora la capitale indiscussa dell’Occidente islamico (il Maghreb, ossia il Marocco) e una delle città più fiorenti del mondo intero. Da poco tempo (nel 1351) era morto Abu al-Hassan, detto il Sultano Nero, il sovrano più potente della dinastia berbera dei Merinidi, che aveva esteso i confini dell’impero marocchino dalle sponde atlantiche fino al Golfo di Gabes, in Tunisia. Appena un anno dopo, nel 1357, sarebbe stata terminata a Fes la magnifica Madrasa Bu Inania, che l’ultimo sovrano merinide, Abu Inan, aveva fortemente voluto per superare lo splendore della Grande Moschea Karaouine, edificata a Fes nell’859 dagli Idrisidi. Idris ibn Abdullah, conquistatore islamico del Marocco nel 788 e fondatore di quella prima dinastia maghrebina, affermava di discendere da Fatima, figlia del Profeta Muhammad; questa è la ragione indiscussa che nei secoli, fino a oggi, ha conferito al Marocco un’aura di particolare sacralità nel mondo islamico.
     Ibn Battuta morì intorno al 1370 e a quella data potremmo dunque attribuire un significato simbolico: rappresentò il culmine della civiltà islamica marocchina e il momento di massimo splendore di Fes, capitale di un impero. Da allora ebbe inizio una lunga decadenza. Secoli di lento e inesorabile declino segnati dalle poco nobili imprese dei pirati di Salé fino alle invasioni coloniali degli spagnoli e dei francesi, per terminare con la difficile rinascita post-coloniale, guidata con indubitabile saggezza dagli ultimi eredi della dinastia Alauita, che già dal secolo XVII si era insediata sul trono del Maghreb (e di tale saggezza si ha ora una prova evidente, considerando che il Marocco è forse

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