l’unico dei Paesi arabi che non sia stato sconvolto da una rivoluzione anti-regime).
     Oltre sei secoli di declino hanno lasciato il segno anche su Fes, ma la città non è mai morta e nonostante il degrado non si è mai disgregata. Nessuno ha mai osato violarla. Quando il primo governatore francese, il maresciallo Hubert Gonzalve Lyautey, penetrò per la prima volta nel labirinto magico dei suoi vicoli e vide le sue fontane policrome, l’armonia delicata di Bab Boujeloud e la geometria perfetta della moschea Kairaouine, subì lo stesso fascino che nel 1325 aveva stregato Ibn Battuta. Avrebbe potuto abbattere centinaia di edifici fatiscenti, sventrare i quartieri, europeizzare il cuore dell’antica Medina, ma se ne guardò bene. Capì immediatamente che Fes doveva essere salvata. E decise di lasciarla completamente ai suoi abitanti e alle loro tradizioni, al brulicare dei mercati, al ritmo delle preghiere e dei lavori artigianali, all’onda avvolgente dei profumi eccitanti e dei terribili odori.
     Così Fes è arrivata fino a noi. Come un mondo irreale sopravvissuto nei secoli. Una sconcertante macchina del tempo sfuggita ad ogni logica della storia e dell’economia. Un sogno dolce e violento che istante dopo istante si realizza davanti ai nostri passi incerti e ai nostri occhi increduli. Mosaici fantastici e muraglie in rovina, donne velate come angeli e asini ansimanti sotto pesi impossibili, fiori e letame, vecchi curvi sui bastoni e bande di bambini, spezie e fetori, vicoli opprimenti e chiostri da mille e una notte, tuguri decrepiti e minareti superbi; in poche parole tutto ciò che poté rendere felici i viaggiatori, gli scrittori romantici e i pittori dell’Ottocento e del Novecento, da Potocki a Delacroix, da Loti a Canetti. Ancor più di Marrakesh, Fes è la sintesi più grandiosa e perfetta di quella “rêverie orientale” che dall’ “Invitation au voyage” di Baudelaire si è protratta nell’immaginario europeo fino ai miti del turismo di massa.
     Il segreto di questa perfezione ha un nome: è la vita. Una vita tenace, intensa, autentica, che non si arrende alle crisi dell’economia e alle evoluzioni culturali. Scriveva a tal proposito Tahar Ben Jelloun una ventina di anni fa: «Andate a Fes, la “città delle città”, luogo di elevata cultura e di fertili tradizioni. Osservate una famiglia da vicino. Ogni casa, anche modesta, è un luogo carico di storia. Un matrimonio, a Fes, si svolge ancor oggi secondo regole rigidissime, che solo con estrema prudenza si lasciano incrinare dalla minima innovazione. Tutto si svolge in ossequio alla tradizione, perché tutto riflette il carattere marocchino: il rituale della cerimonia, il protocollo della festa, i costumi, i canti, i cibi.»

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