Sull’altra sponda dello stesso mare, invece, Angelina osserva l’orizzonte e guarda le barche arrivare: lei è una tripolina, che negli anni ’70 è stata costretta, proprio da Gheddafi, a fuggire in Italia, rifugiandosi in Sicilia, e la sua inquietudine si rispecchia negli occhi del figlio Vito, il quale in lei vede riflesso il grande mare, “ha lo stesso sguardo, la stessa calma, ma dentro nasconde la tempesta”.
     Sono passati quarant’anni, ma il dolore per la cacciata dalla sua terra brucia ancora in un incessante turbinio di immagini: le immagini del Colonnello con gli occhiali da sole, il cicaleccio con le amiche negli assolati pomeriggi arabi, infiniti come soltanto in una terra di deserto il tempo sa essere, ma soprattutto la nostalgia per Alì, il temerario Alì, la sua promessa d’amore crudelmente strappata ai sogni di ragazzina da una guerra che Angelina fatica a capire.
     Oggi la donna ha un figlio, Vito, che ha scritto la tesina per la maturità proprio sui tripolini e le loro complicate vicende storiche, indagando su quel passato che la madre rimpiange, spesso nasconde. Vito è affascinato dalla inquieta madre “i capelli sfrangiati dal vento, la sigaretta spenta in mano, arrampicata come un granchio sugli scogli” e dal fatto che lei non scende mai davanti al mare, solo raramente, quando “il sole che s’imbuca arrossa le rocce fino al viola ed il cielo fino al sangue e sembra davvero l’ultimo sole del mondo”.
     Vito è consapevole della rabbia e dell’amore che si agitano furiosi, in una eterna danza, nel cuore della madre, sentimenti esasperati proprio da quel mare che per lei segna il confino con la propria patria, i propri amori ed affetti in un destino di eterna esiliata. Un giorno sua madre disse: “devi trovare un luogo dentro di te, intorno a te, un luogo che ti corrisponda, che ti somigli almeno in parte”. Vito è convinto che, nel bene o nel male, sua madre appartenga al mare, sia come lui, dolce, arrendevole, indomabile e furiosa, ma calma e tranquilla all’occorrenza. Sua madre, per undici anni, è stata araba e come gli arabi guarda il mare, “come si guarda una lama, sanguinando già”.
     Le storie di Jamila ed Angelina non si incontrano nel romanzo, ma si specchiano l’una nell’altra e insieme ne disegnano una sola, di storia, quella di un destino che impone il tributo della rinuncia e della mancanza, della perdita e dell’abbandono. Due vite simbolicamente sospese o, meglio, oppresse, come i due opposti apparentemente inconciliabili quali sono il mare ed il deserto, elementi naturali contro i quali è inutile combattere.
     Un racconto di toccante intensità, scritto con linguaggio scarno, privo di fronzoli, ma di una semplicità che ti entra direttamente nel cuore; un romanzo

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