iniziative più o meno organizzate, sul web o altrove, per protestare contro la Legge Levi e in generale contro la diminuzione della scontistica elevata, hanno, a mio parere, sostanzialmente travisato la legge ed i principi di base per i quali è stata (bene o male) formulata, sbagliando il bersaglio della loro protesta: non lo sconto, come detto, ma il prezzo, sovente troppo alto non solo in relazione al valore letterario dell’opera messa in vendita, ma pure per l’effettivo costo di produzione, e così imposto al mercato per ottenere il più alto guadagno possibile, cosa che trovo da sempre del tutto avulsa da un’autentica e virtuosa concezione di “cultura” e di diffusione culturale per le quali un editore dovrebbe rappresentare uno dei principali attori e baluardi della società. Perché il libro, giova sempre ricordarlo, non è certo un oggetto di consumo passibile di sconti da hard discount e di promozioni da fustini di detersivo, ma è il principale strumento culturale creato dalla civiltà umana e a sua disposizione, il miglior nutrimento per la nostra intelligenza. E questa fondamentale peculiarità, almeno nel principio, non ha certo prezzo.
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