tasche della collettività, rendendo il costo di accesso alla giustizia quasi proibitivo, in spregio alla vilipesa Carta Costituzionale, che sancisce un pari diritto per tutti i cittadini.
L’ultimo disegno di legge contenente la proposta di aumenti non ha voluto interrompere la pervicace consuetudine del “saccheggio” istituzionale ed ha previsto, ancora un volta, un aumento generalizzato del contributo unificato, costringendo chi si rivolge ai Tribunali a valutare i costi e i rischi connessi all’azione medesima. Sembra quasi che lo Stato abbia voluto adottare uno strumento di deterrenza per la collettività, che deve sperare di risolvere il contenzioso attraverso strade alternative (vedasi conciliazione la cui obbligatorietà è stata recentemente svuotata dalla sentenza della Corte Costituzionale) oppure affidandosi ai rischi sopra esposti, ma è proprio sul contributo unificato che si è costruito il grande inganno.
Le novità prevedono che il ricorrente, qualora il ricorso non solo venga respinto ma anche quando venga dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse o per altri motivi connessi all’improcedibilità ovvero venga ritenuto inammissibile, sia obbligato non solo a dover rifondere le spese alla parte vittoriosa, ma anche, in ulteriore aggiunta, a versare un contributo - implicitamente concepito a titolo punitivo - d’importo pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. La disposizione, se sarà approvata, finirà per comportare il raddoppio della contribuzione, con la previsione di un primo balzello, per così dire “in entrata”, da versare all’atto della proposizione del ricorso, ed un altro “in uscita”, da corrispondere nuovamente in caso di ricorso rigettato, dichiarato improcedibile od inammissibile. Sul corretto adempimento vigilerà poi l’Agenzia delle Entrate, pronta ad inseguire il contribuente in caso di mancato pagamento di quanto dovuto all’erario. Insomma, siamo di fronte ad una sorta di pedaggio, molto oneroso, da corrispondere due volte, quando si sceglie di entrare nel giudizio e quando vi si esce. Un controsenso se si pensa che l’introduzione della contribuzione unificata, risalente al 2002, doveva servire, negli intendimenti dei suoi ideatori, a rendere più snelle le procedure interne senza più mettere mano al portafogli per acquistare marche da bollo da applicare sugli atti.
L’ingegno della burocrazia non ha limiti e così si è deciso non solo di mantenere il diritto per le cancellerie di esigere l’apposizione di marche da bollo per il rilascio di copie autentiche di atti, ma, addirittura, di incidere con progressivi aumenti del contributo in riferimento agli scaglioni di valore.
|
|
|