basa sulla gestione delle necessità collettive e sul corretto orientamento delle problematiche del vivere quotidiano ed è chiamata ad organizzare sul territorio un sistema amministrativo adeguato per consentire sviluppo, progresso, benessere e pace sociale. Tutto il resto è accademia e sterile dibattito fine a se stesso e, quindi, la speranza risiede nel fatto di poter concretamente confidare in cambiamenti reali e non solo sussurrati.
     In questo scenario, francamente drammatico, che rievoca il “dejà vu” della Prima Repubblica, è facile concludere che l’esecutivo, il quale andrà a formarsi dopo le elezioni, sarà destinato, probabilmente, ad una vita breve ed inconsistente visto che la subdola restaurazione del sistema partitocratrico ha generato un ricompattamento al centro di andreottiana memoria, di cui l’italiano non aveva certo bisogno, e ha indotto tanti a collocarsi nei più disparati (e direi disperati) movimenti, che pullulano qua e là senza infamia e senza gloria. Il disorientato elettore è condannato purtroppo ad una indecisione senza precedenti, avendo perso quei minimi riferimenti che gli erano stati offerti da un accenno di bipolarismo, che, quanto meno, consentiva un certo equilibrio.
     Esaminando gli schieramenti che si presenteranno alle urne possono delinearsi potenziali scenari: da una parte resiste ed insiste Berlusconi, il quale, dopo aver accarezzato l’idea, o almeno quella era l’intenzione dichiarata, di passare la mano ai giovani alfieri pidiellini, mantenendo solo un controllo gerarchico da pater familias e confinandosi nelle retrovie parlamentari, si autopropone, per l’ennesima volta, come la soluzione più naturale e taumaturgica che, però, suona come una candidatura ormai superata. Dall’altra sgomita Bersani, privo del fascino del vero leader, il quale, dopo aver facilmente prevalso su Renzi alle primarie, sta cercando con il suo PD di riempire i vuoti del consenso perso dall’avversario senza chiudere la porta ad alleanze varie e rischiando di incanalarsi nella politica del rigore e della crescita zero del precedente Governo per perpetuare un’azione caratterizzata dal prevalente carattere depressivo.
     In mezzo ci stanno il pentito Monti, che in tempi non sospetti aveva dichiarato che a mandato scaduto sarebbe tornato ad occuparsi di altre faccende, intorno al quale si sono stretti i due barristers di lungo corso, Casini e Fini: l’uno permeato di compiacenza narcisistica e l’altro eterno incompiuto ormai succube del proprio passato, entrambi politicamente poco credibili e privi di quell’autorevolezza riformatrice di cui il Paese avrebbe bisogno.

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