Zaino in spalla mi incammino per il sentiero e Marta mi segue priva di pesi superflui. Noto che ho difficoltà a ricordarmi la strada da seguire, d'altronde è passato molto tempo dall'ultima volta che sono stato qua, tuttavia riesco a ritrovare la scorciatoia che ci farà evitare parecchia strada in più. Purtroppo però la mia fidanzata è già in difficoltà; tale sentiero è piuttosto ripido e richiede notevole energia per seguirlo. Il fatto di

non essere allenati a lei pesa più della norma, infatti, la sua costituzione fisica, il suo soprappeso e la sua schiena che, dopo l'incidente di poco più di un mese fa, ancora le crea problemi, non la favoriscono, cosicché sovente ci dobbiamo fermare affinché lei riprenda fiato.
     Completato questo sentiero ci immettiamo nel percorso originale, poco ripido e largo a tal punto da consentire il

passaggio di una jeep; non è un caso invero, perché i rifugisti della nostra meta, il cosiddetto Curò, utilizzano un mezzo simile abitualmente.
     Scavando nei miei ricordi rammento che ci attende un lungo cammino, ma come accade spesso quando ci si aspetta peggio di quanto in realtà è, sono sorpreso quando d'un tratto gli alberi non costeggiano più il nostro faticoso

cammino, la visuale del paesaggio si amplia e la conformazione delle montagne mi fa presumere che il primo punto di sosta invece è vicino. Non era dunque così lungo come credevo il tragitto, tuttavia dobbiamo raggiungere il luogo ideale per vedere al meglio la cascata quando l'apriranno i tecnici dell'Enel.
     Un passo dopo l'altro, concentrati sul nostro cammino reso difficoltoso da sassi di grosse dimensioni, proseguiamo, mentre la gente che ci precede e ci segue, tra sbuffi e lamenti, è in continuo aumento.