segna l'inizio del grande giardino a terrazze che sale lungo la collina, arrivando fino ai piedi della Rocca.
     Originaria della media Valle Seriana, la dinastia dei Moroni era nota per i suoi esponenti, che non solo a Bergamo hanno dato importanti standard di riferimento nell'architettura e nell'ingegneria. Dopo il 1600, invece, la famiglia Moroni si è dedicata soprattutto alla coltivazione del gelso. Essa metteva a disposizione grandi quantitativi di materia prima indispensabile per lo sviluppo delle larve e conseguentemente per la formazione dei bozzoli dei bachi da seta. È per questa redditizia attività che nello stemma di famiglia è racchiusa una pianta di gelso. L'aquila invece, aggiunta nello stemma nel 1783, rappresenta il titolo di conte e cavaliere conferito dal Duca di Sassonia Weimer ad Antonio Moroni.
     L'origine del casato è antichissima, risale al 1334, in occasione del capostipite Sereno Moroni. Il primo ramo si è staccato nel 1390 con Peccino Moroni, mentre l'attuale famiglia deriva da un secondo ramo nato nel 1419 con Marco. Nei libri dell'epoca, i Moroni sono stati descritti come grandi ingegneri, con particolare riferimento ad Andrea e Bertolasio. Quest'ultimo, in effetti, è stato l'autore del completamento del campanile di Santa Maria Maggiore, di un ponte sull'Adda e, su incarico del Senato veneziano, di un ponte sull'Adige.
     Molti altri Moroni, dal 1500 al 1850, si sono distinti per le loro innate capacità tecniche ed intellettuali, come l'architetto Francesco, l'umanista e storico Antonio e l'umanista e scienziato Pietro. Non si può certo dimenticare il grande pittore Gian Battista Moroni, nato a Bondo di Albino nel 1523 e deceduto nel 1578. I suoi celebri ritratti a figura intera, come quello di Gian Gerolamo Grumelli, meglio conosciuto come "Il cavaliere in rosa", e quello di Isotta Brembati, ornano alcune sale del primo piano, alle quali si accede salendo lo scalone che si trova sulla destra dell'androne d'ingresso.
     Le stanze di Palazzo Moroni sono densamente decorate, ricche di prospettive e squarci di cielo che si aprono nei soffitti, ma niente è dipinto a caso. Anche la figura più nascosta, quella che sembra essere messa lì soltanto con un significato pittorico, in realtà intende simboleggiare una circostanza, uno stato d'animo una situazione. Questa tesi è avallata dalle scritte in latino che affiancano gli affreschi, come se fossero delle didascalie.
     In apparenza, una simile concentrazione di immagini rende l'ambiente confuso; un attento esame invece, rivela come Gian Giacomo Barbelli (l'artista cremasco autore non solo di questi affreschi ma anche di quelli di Palazzo Terzi),
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Ferrante, Barbelli, Calvi, Rodi, Ghislandi, Roncalli, Chignolo, Palazzo, Moroni, Bergamo