di richiamare alcuni brani del commento di Andrea Mazzucconi al vangelo del 5 agosto, dalla pagina 10 di sabato 4 agosto de “L’Eco di Bergamo”: “Oggi come allora, la spartizione dell'eredità è una delle esperienze in cui si tocca con mano che i beni materiali più che dare la felicità, possono togliere la serenità. Per la contesa attorno a quattro soldi ci sono relazioni che si avvelenano definitivamente, e qualcuno tira una sconsolata conclusione: «Sarebbe meglio non avere alcunché da dividere». […] Tenersi lontani dalla cupidigia non è un antidoto per schivare la morte; quando viene, la morte non controlla se la pancia e le tasche sono piene o vuote. Mentre qualcuno muore perché i suoi granai sono completamente vuoti, qualcun altro si ammala perché i suoi magazzini sono troppo pieni. Fumare non pare certo il miglior elisir di lunga vita: tuttavia, c'è chi fuma come un turco e campa cento anni, mentre chi non sa cosa sia una sigaretta contrae un cancro ai polmoni. Il fatto è che per tutti, ricchi o poveri, saggi o stolti, la vita è inconsistente e fugace, proprio come il fumo di una sigaretta.
     Quell'osservatore lucido e acuto della realtà, di nome Qoelet, apre le considerazioni consegnateci nel suo libro, rilevando che «tutto è vanità», cioè che ogni realtà possiede l'inconsistente consistenza del fumo, del fiato, del vapore. La bellezza e l'inquietudine della vita sta nella sua leggerezza, il suo affascinante e drammatico mistero risiede nella preziosa fragilità di ogni cosa e di ogni vicenda, che si consuma sotto il sole. L'attaccamento avido ai beni è simile al tentativo di afferrare il vapore: sta in ciò la stoltezza della cupidigia. Essa tocca l'apice quando, nell'ebbrezza dell'abbondanza materiale, ci si illude di possedere anche il tempo. E questo ingannevole potere contagia anche i poveri: tutti sappiamo di dover morire, ma l'ipotesi che possa accadere questa notte stessa ci appare così remota da rendercela molto lontana. Però il tempo non ci appartiene, bensì ci ospita. I magazzini possono riempirsi, ma la vita resta un soffio.
     Il buon raccolto della campagna dell'uomo ricco, di cui narra la parabola, è un frutto che lo interroga: che cosa farne di quell'abbondante grano? Che fare dei nostri beni? Consumarli, venderli, accumularli, investirli, regalarli, condividerli? Diceva Gandhi: «La terra produce abbastanza per soddisfare i bisogni di ciascuno, ma non per soddisfare l'avidità di ognuno». Purtroppo, l'unico impiego pensato dal proprietario di quella fertile campagna è dettato dall'idolatria dell'avarizia insaziabile (Colossesi 3,5) che, insieme ai suoi magazzini, dilata il suo delirio di quasi onnipotenza.Chi possiede poco o nulla ha la necessità di

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