nei confronti della città natale, la tanto amata Bergamo. Infatti subito dopo Donizetti partì per un'altra città che sarebbe stata molto importante per la sua vita di artista e di uomo: Napoli.
Desideriamo aprire una parentesi sul già più volte citato “libretto”. Esso, sostanzialmente, lo si potrebbe definire come una sorta di testo poetico pronto per essere messo in musica, una “sceneggiatura in versi (più o meno) poetici”, per usare le parole del dottor Capitanio della Biblioteca civica A. Mai, da noi contattato sull’argomento. Il ruolo del libretto d'opera e quindi del cosiddetto librettista è cambiato nel tempo, passando dal “recitar cantando” alla musica del compositore come centro focale dell’opera. All'epoca di Rossini, Bellini, lo stesso Donizetti e il primo Verdi, il ruolo di librettista fu sostanzialmente "artigianale": era la persona che traeva dalla tradizione letteraria o teatrale di prosa un argomento, adattandolo per il teatro in musica e preconfezionando, secondo precisi stilemi allora vigenti (alternanza di recitativi, ariosi, arie solistiche, arie d'insieme, cori, eccetera), un testo poetico pronto per essere messo in musica. Tutto doveva essere asservito alla musica, quindi il librettista era "agli ordini" del compositore, vero e ultimo artefice del melodramma.
Tornando alla vita del Donizetti, la città partenopea lo accolse con una sfida difficile: il mondo teatrale era dominato dal binomio Rossini - Barbaja e Donizetti si dovette confrontare con il loro successo. Nel maggio del 1822, mise in scena “La Zingara”, che ottenne un buon successo, e in seguito “La lettera anonima”. Nonostante i successi ottenuti, Donizetti subiva il fascino del Teatro della Scala. Nella città milanese, la sera del 26 ottobre 1822, andò in scena l’opera “Chiara e Serafina o i Pirati”; a dispetto dell’ottima prestazione dei cantanti, l’accoglienza del pubblico fu decisamente tiepidina. Deluso, Donizetti tornò nella città partenopea e, per cercare di riprendersi dal fiasco milanese, compose due nuove opere: “Alfredo il grande” e “Fortunato inganno”, ma anch’esse stentarono a piacere al grande pubblico.
Il compositore si crucciò abbastanza di questi insuccessi ed alla fine convenne che il problema principale era di trovare un libretto che sapesse stimolare la sua fantasia e il suo stato d’animo per comporre musiche adatte. Anch’egli aveva dimostrato di saper “verseggiare”, di saper creare componimenti artistici, ma il problema fondamentale delle sue opere rimaneva il fatto che non riusciva a trovare un buon librettista. Intervenne in suo aiuto l’amico romano Jacopo Ferretti, il quale gli fornì il libretto per “L’ajo nell’imbarazzo”, opera che finalmente riscosse buon successo, e in seguito l’opera buffa “Emilia di Liverpool”. La sua fama iniziò a diffondersi, ma questi alti e bassi nella sua