storici che sancirono l'inizio della Seconda Guerra Mondiale; l'estate di quell'anno fu per Rigoni un'altra estate di alpinismo sulle vette della Val d'Aosta. Il vento della guerra non aveva ancora soffiato pienamente, gli aspiranti rocciatori non si rendevano ancora conto che la guerra era alle porte. A metà del 1940, il battaglione di Rigoni venne mobilitato: la guerra era iniziata anche per l'Italia.
Iniziano così i vivi ricordi dello scrittore sulla fallimentare campagna di Grecia, in cui gli italiani dovettero essere salvati dai tedeschi per non capitolare a causa della disorganizzazione e della resistenza furiosa dei partigiani greci, ma è la campagna in Russia, quella che desta più dolore e incredulità, a rileggerne i ricordi. La Storia sempre ha insegnato, sin dalle mire di conquiste di Napoleone, che l'inverno russo è uno dei più freddi e infidi che esistano in Europa. Chilometri e chilometri di steppe gelate, senza una casa in vista, privi del conforto del calore di un focolare e in assenza di punti di riferimento. Un massacro annunciato, che i gerarchi fascisti rimasti al caldo delle loro abitazioni in Italia sponsorizzavano con altisonanti discorsi farciti di Patria, Orgoglio e Spirito di Sacrificio. Tutt'intorno a Rigoni, nella steppa di una terra straniera e ostile, i commilitoni morivano come mosche.
Arrivò infine il 1943: cadde il fascismo, la Germania perdeva un alleato. L'8 settembre scatenò rappresaglie in tutta la penisola, i tedeschi invasero il Nord e ricostituirono la fallace leadership di Mussolini nella Repubblica di Salò; i regolamenti di conti insanguinarono l'Italia, fratelli contro fratelli, divisi tra l'estrema fedeltà al Duce e la volontà di ribellarsi ad anni di totalitarismo. Rigoni e molti suoi compagni vennero deportati nei campi di prigionia, trattati come disertori, dopo aver rischiato di morire come cani per ordine del loro Paese; furono venti mesi di fame e difficoltà, riscaldati dalla consapevolezza che “gli uomini liberi non erano quelli che ci custodivano, tanto meno quelli che combattevano per la Germania di Hitler. Che noi lì rinchiusi eravamo uomini liberi.”.
“L'ultima partita a carte” è forse il succo di tutti i libri scritti da Rigoni, il concentrato di un'opera letteraria tesa a perpetuare il ricordo di quel periodo nero della storia; quello che colpisce, come in ogni libro di questo autore, è la semplicità disarmante, l'umanità profonda con cui Rigoni ha affrontato la vita e la morte incontrate in anni di guerra. Sensazioni e pensieri raccontati senza giri di parole, con la prosa schietta e lineare di un montanaro al quale non
|
|
|