autobiografica, in quanto era nota nell’ambiente musicale la voglia del maestro di rifarsi una famiglia, soprattutto dopo aver conosciuto, nell’ultimo soggiorno napoletano, le marchesine Sterlich, avvenenti austriache piene di curve e di cure nei suoi confronti. Quest’opera viene considerata oggi come l’ultimo grande capolavoro donizettiano.
     Successivamente, il 5 giugno 1843, tenendo fede al suo impegno di operista, dopo “Linda di Chamonix”, Donizetti mise in scena a Vienna “Maria de Rhoan”, un’opera in tre atti su libretto di Cammarano. Ritornò di nuovo a Parigi, dove si mise subito al lavoro per completare una grande opera da rappresentare al Theatre de l’Opera ,“Dom Sébastien”, ma la critica parigina non si mostrò tenera con il maestro, criticando alacremente la rappresentazione. In seguito, mise in scena a Napoli l’opera “Caterina Cornaro”, che fu accolta freddamente proprio dal teatro a lui così caro, evento che gli procurò una certa amarezza. Intanto, i sintomi della malattia, che lo avrebbe portato alla morte, iniziarono a manifestarsi.
     Insieme al fratello Giuseppe, divenuto direttore delle bande imperiali ottomane a Costantinopoli, Gaetano Donizetti ritornò a Bergamo per far visita ad una amica, la baronessa Basoni-Scotti, che “passava le acque” in quel di Boario Terme. Il maestro fu accolto festosamente presso l’Accademia Tadini di Lovere (28 luglio 1844), dove furono rappresentate alcune delle sue arie più famose. Gli amici, tuttavia, notarono in lui i segni evidenti di una profonda stanchezza accentuata da una tristezza infinita. La baronessa, grande amica del compositore, nutriva un grande affetto per Donizetti ed amava ospitarlo nella sua residenza estiva, la Dorotina. Ella, nelle sue memorie, ricorda con sofferenza gli ultimi anni di vita del musicista, tant’è che proprio la baronessa lo avrebbe ospitato nell’epilogo della sua esistenza.
     Il musicista stava proprio male, sempre più solo, sprofondato nella sua tristezza e malinconia. Giunto a Parigi, il nipote Andrea, dopo numerosi consulti medici, decise di farlo internare in una casa di cura fuori città e, con uno stratagemma, Donizetti fu rinchiuso con l’inganno nel manicomio di Ivry, come un pazzo qualsiasi. Genio sì, pazzo non di certo. Quando la notizia giunse a Bergamo, i suoi amici si diedero da fare per cercare di farlo rientrare in Italia e toglierlo da quel luogo di tristezze che certo non meritava.
     Nel 1847, dopo sedici mesi di degenza forzata nella casa di cura di Ivry, la burocrazia parigina cedette e diede il consenso al rientro in Italia del compositore, ormai completamente incapace di intendere e di volere. Dopo

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