dell’arte che trova nell’invenzione e nel “nonsense” la sua vera essenza ed esigenza sociale. Il mescolarsi delle arti o come la definiamo oggi la “contaminazione” delle stesse nasce dopo quegli anni marroni tendenti al cupo. La vera rivoluzione, sostiene Luca Beatrice, è iniziata nel 1979 con Gianna Nannini che canta “L’America”, dopo le velleitarie ma stucchevoli contestazioni ai concerti degli anni Settanta, l’architettura e il design di Sottsass e compagni che superarono quel grigiore architettonico degli anni Settanta, che ha imbruttito e devastato indelebilmente le nostre periferie urbane ed infine con il ritorno alla gioia del colore e della pittura di cinque artisti (Cucchi, Chia, Clemente, De Maria, Paladino), definiti la “transavanguardia” dal suo mentore Achille Bonito Oliva, che ridarono finalmente luce e invenzione alla incartapecorita situazione artistica italiana ed europea.
     La tesi è chiara e il libro snocciola nomi e situazioni; certamente toccare e attaccare certi personaggi e alcune tesi socio-politiche figlie dell’ideologia sessantottina in Italia è pericoloso, si rischia di fare la fine di Galileo Galilei con la Chiesa nel Seicento. Il dado comunque è tratto e la discussione seppure timida è iniziata. Per meglio chiarire: chi oggi ha trent’anni circa e diverrà opinion leader e classe dirigente di questo Paese domani è cresciuto (per esempio) guardando i cartoons di Miyazaki (Heidi, Conan, Lupin III), arrivati in Italia con l’avvento delle televisioni commerciali, leggendo i fumetti della Marvel e di Andrea Pazienza, ascoltando i Clash, gli U2 e ha negli occhi Diego Armando Maradona, che dribbla tutta la squadra di sua Maestà punendo l’arroganza inglese dopo la guerra delle Falkland, e poco gli importa di vecchi slogan auto fustiganti e di dottrine deprimenti.
     Questo retroterra culturale di base che oggi tutti abbiamo (volenti o nolenti attenzione a chiamarsi fuori) non può che influire in modo decisivo sugli orientamenti dell’arte contemporanea, che ci interessa affrontare in questa discussione, e sulla sua ricaduta nella cultura in generale, ancora oggi succube nelle sue manifestazioni ufficiali di un concettualismo vuoto e figlio di quegli anni, ma che poco incide sui reali interessi culturali della società odierna. L’ intellettuale del futuro uscito da questo brodo di coltura sarà “né di qua né di là” ma sopra in alto e finalmente libero.
     In sostanza, Luca Beatrice richiama tutto il mondo dell’arte ad un ritorno “al fare” ed “al saper fare” ed invita ad abbandonare la via di sterili e facili “manierismi concettuali”, vero crinale conservatore dell’arte contemporanea;

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