faticosamente hanno caratterizzato la vita sociale. Il moltiplicarsi dei casi di corruzione pubblica, di allegra gestione delle risorse dello Stato, di evasione fiscale non fanno altro che rafforzare questo senso di precarietà che ha l’amaro sapore della disgregazione. Una situazione, insomma, che sembra avallare il declino del Paese, prescindendo dai dati e dalle stime che periodicamente assegnano all’Italia un coefficiente, seppur minimo, di crescita.
     Senza dubbio l’Italia è in mezzo ad un guado assai difficile della propria storia e questo fondamentale passaggio, che avrebbe dovuto essere coniugato a riforme sostanziali di sistema, non è stato sostenuto da una guida politica autorevole e, ad oggi, sembra difficile che possa essere gestito con l’oculatezza e la lungimiranza di chi dovrebbe prendere per mano il Paese dimenticando interessi particolari ed evitando di alimentare guerre di religione. L’Italia di oggi, da destra a sinistra, è drammaticamente priva di una direzione politica perché è priva di una visione di insieme del futuro. Le censure cadono inevitabilmente su coloro che hanno rappresentato la politica dagli anni novanta in poi, i Berlusconi, i Prodi, i D’Alema, i cui tentativi riformatori sono stati privi di un’azione sinergica e decisiva.
     Berlusconi, in particolare, che ha dovuto scontare come peccato originale della propria investitura il conflitto di interessi ed il proprio ruolo trasversale di imprenditore legato a doppio filo alla politica, si è trovato ostaggio di se stesso e delle opposizioni e non è mai riuscito a tradurre la propria intenzione riformatrice in un progetto veramente penetrante, complice, altresì, un sistema tentacolare e farraginoso che non ha consentito né consente di attuare vere riforme copernicane. Il premier, schiavo del proprio narcisismo politico, è rimasto convinto che la propria storia personale ed il proprio carisma potessero essere sufficienti ad attrarre il proprio elettorato e non solo. Si sono quindi creati i presupposti di quella che, da più parti, è considerata una vera antipolitica, alimentata dallo scontro con le opposizioni e la magistratura e con le opposizioni medesime che sono rimaste intrappolate nel gioco delle parti senza proporre valide alternative.
     L’incapacità della politica di interloquire con il Paese si è quindi impadronita delle istituzioni proponendo periodicamente i soliti stereotipi mediatici, i soliti teatrini ossessivi ed isterici con tutto il corollario di ovvietà e di finti imperativi categorici, tenendo l’opinione pubblica distante dai veri problemi territoriali. Nella democrazia italiana, che forse ha oltrepassato la soglia della tolleranza

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