gravoso impegno di tipo amministrativo. Queste nuove necessità, apparse di recente, rendono più difficile il lavoro del medico, che per forza di cose deve lavorare in un contesto sempre più organizzato, in un team che preveda, oltre alla figura dell’oncologo, anche un buon farmacista ospedaliero, un buon informatico e del personale che tenga i registri dei dati dei pazienti. Queste sono le nuove difficoltà della nostra professione, prima era tutto più semplice: ci si avvaleva solo della propria esperienza clinica, muovendosi in un contesto che era quello della propria struttura e la scelta della terapia era dettata solo dalla propria esperienza maturata. Oggi, fortunatamente abbiamo a disposizione tanti farmaci, certo, ma la spesa sanitaria è lievitata e l’iter burocratico che sta intorno a tutto questo è spaventosamente complesso ed ingarbugliato, mettendo in difficoltà chi non ha la fortuna di muoversi in un complesso ben organizzato.”
     Come oncologo, qual è stato il suo momento più triste e quale la sua più grande soddisfazione?
     “È sempre un momento triste quando, curando un paziente al quale inevitabilmente ci si affeziona, lo si perde. La più grande soddisfazione è invece quella di incontrare, dopo anni, pazienti che ti dicono ‘Si ricorda di me?’ Magari non ricordo tutti i nomi, ma i volti sì… ed è bello quando ti dicono che loro, alla malattia, non ci pensano più perché sono stra-guariti!”
     Durante quegli anni si fece un gran parlare di questa terapia, oggi non se ne discute più. Che cosa ne pensa delle teorie del professor Di Bella?
     “Beh… ricordo che in quel periodo c’era una forte richiesta da parte delle associazioni di applicare la cura…” Associazioni di malati? “Sì, anche i malati

chiedevano questa cura. La pressione fu così enorme che gli ospedali dovettero mettere a disposizione dei pazienti la multiterapia Di Bella a chi la richiedesse. Era il 1998, io ero responsabile del Day Hospital Oncologico dell’Istituto di Ematologia a

Pavia e la direzione sanitaria ci obbligò a prendere in considerazione questi pazienti e a realizzare per loro quella terapia secondo il razionale che aveva proposto il prof. Di Bella. Chiaramente eravamo tutti perplessi, è ovvio, ognuno di noi ha le proprie convinzioni date dalla propria esperienza clinica, dalla pratica
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