trattamento, in genere, la malattia evolve favorevolmente, la paralisi regredisce e il paziente riprende, a partire dalla respirazione, le funzioni che erano state compromesse dalla paralisi.
Per il nostro Don non è stato così. Sospeso il coma farmacologico che lo aiutava nella situazione acuta a tollerare la percezione della sua paralisi, la quale coinvolgeva anche i muscoli del viso, le palpebre, le labbra, i muscoli della deglutizione, egli era cosciente, ma non riusciva a muovere nulla, riusciva solo a tenere gli occhi aperti, non comunicava, né con la voce, perché tracheostomizzato, né con il labiale, perché i movimenti delle labbra erano limitati dalla paralisi.
In questa condizione, la sua necessità di relazione è apparsa subito importante e assolutamente necessaria, contemporaneamente si è evidenziata l’impossibilità per noi infermieri di far fronte a questo bisogno: le attività del reparto sono tante e il rapporto infermiere-paziente non è di uno ad uno, ci sono anche gli altri ammalati da seguire. Fondamentale, vitale per lui, era la necessità di avere qualcuno accanto, frustrante per noi non poter stare vicino a lui oltre il tempo delle nostre attività assistenziali.
Questa l’analisi del bisogno. È stato chiaro subito che per il soddisfacimento di questo bisogno non erano sufficienti le figure sanitarie che ruotavano intorno a lui. Intanto aveva iniziato fisioterapia passiva e logopedia. Abbiamo coinvolto due suoi cari amici nel nostro piano assistenziale e ci siamo organizzati in modo che durante tutta la giornata fosse sempre presente nella sua camera qualcuno: al mattino gli infermieri si occupavano delle cure igieniche, delle medicazioni, terapie ecc, poi la fisioterapista per i movimenti passivi, poi la logopedista per cercare il recupero della deglutizione. Il pomeriggio era per le visite… con un gruppo di volontari, persone a lui vicine, e in qualche modo significative; è stata così creata una rete, con turni di presenza giornaliera, tutti i giorni della settimana.
Questa iniziativa è stata veramente vitale per lui, sicuramente dal punto di vista clinico (effetti sull’umore, voglia di recuperare, di guarire, massimo impegno nel cercare di fare cose nuove), e, a detta di chi lo conosceva bene, paradossalmente, nonostante le difficoltà nella comunicazione, questo è stato il periodo in cui Don, persona schiva e timida di carattere, ha avuto le relazioni più ricche e intense della propria vita.
Non abbiamo lavorato da soli. È stato importante per tutti avere il supporto degli psicologi: il nostro gruppo di lavoro aveva già intrapreso con la SOC