Di certo, il mercato è spaccato in due: da una parte i colossi alimentari (Parmigiano Reggiano e Grana Padano docet) che fanno grandi numeri, vista la quantità di prodotto immesso sul mercato, vendutissimo anche all’estero, grazie ad una ben orchestrata campagna promozionale, che li rendono molto noti in tutto il mondo. Dall’altra, il mondo sommerso di tutte le centinaia di prodotti Igp, Dop e Stg, dove possiamo trovare un po’ di tutto, a volte prodotti di nicchia così introvabili che quando ce li ritroviamo sulla tavola, come accade per esempio con i cesti delle confezioni natalizie più pregiati, ci rendiamo conto di quali e quante prelibatezze il comparto agro-alimentari italiano è capace di offrire al pubblico e di quanto esse, purtroppo, siano così poco pubblicizzate.
     Altri prodotti, invece, esistono solo sulla carta, come nel caso della frutta e verdura, che rappresentano ben il 38% dei prodotti tutelati in Europa, ma sul fatturato “pesano” solo per il 4%. Il fatto è che, a volte, avere un riconoscimento alimentare può essere tal motivo di vanto per i produttori, i quali lo richiedono anche se poi non ci sono i presupposti per una vendita all’ingrosso, come nel caso del Cipollotto di Nocerino Dop, del quale non esistono dati pubblici sulla sua produzione. Altre volte, invece, l’insieme di regole chiamato il “Disciplinare”, al quale il prodotto deve sottostare, è così complesso e restrittivo che, nonostante l’alimento lo meriterebbe, il produttore rinuncia a richiederne il marchio in quanto troppo complicato: è il caso della Coppia Ferrarese Igp, pane tipico fatto solo con lievito naturale, che i panettieri non usano quasi più.
     Perché sono nati questi marchi? Essi servono a difendere dalle imitazioni un prodotto tipico, ossia realizzato in una determinata zona d’Italia, con materie prime (spesso) locali e secondo sistemi di produzioni tradizionali. Avere un riconoscimento però, come è facile intuire, non è semplice. Innanzitutto, i produttori devono rispettare severe norme di produzione (il Disclipinare, consultabile per ogni prodotto sul sito internet del consorzio che lo gestisce), si deve garantire il metodo di produzione, deve essere un prodotto tipico del territorio e, nel caso del bollino Dop, deve esserne garantita anche la qualità delle materie prime che lo costituiscono. A tal proposito, bisogna anche rilevare che in certi casi gli organismi di controllo “chiudono un occhio”: i prodotti che “fanno i grandi numeri”, i big del settore, pur rispettando il Disciplinare in maniera ferrea vengono prodotti, per ovvi motivi, a livello industriale, anche in considerazione del fatto che un buon 90% del prodotto è poi destinato all’esportazione in tutto il mondo. Avere il marchio, quindi, pur essendo sinonimo di tipicità e buona qualità, non è automaticamente sinonimo di

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