passione per il libro quale “oggetto culturale”, opera dell’intelletto umano dotata ciascuna di una propria vita e personalità, sovente scritta da autori che non fanno libri per vivere e guadagnare (quantunque ciò possa rappresentare il loro legittimo sogno, e ci mancherebbe!), ma perché ancora credono di avere qualcosa di buono da dire e da raccontare.
In tutta sincerità, nel visitare invece gli eventi maggiori, e sempre più col passare del tempo, vedo testi editi in base a precise strategie di marketing e/o a ricerche di mercato, confezionati e pubblicizzati nello stesso identico modo con il quale si farebbe la pubblicità ad un telefonino o ad un programma TV. È il distorto consumismo contemporaneo (padre dell’attuale crisi, come sappiamo ormai bene) in salsa editoriale e pseudo-letteraria, insomma, per il quale tutti siamo consumatori e tutto è merce, il cui solo valore è dato dal guadagno realizzabile una volta messa (e possibilmente imposta) sul mercato.
Perché si è generata tale differenza di qualità, quando facilmente verrebbe da pensare che il problema si possa manifestare in senso opposto, ovvero che debba essere la piccola casa editrice a non saper offrire l’alta qualità letteraria che il grande editore – per nome, prestigio, fama, missione e quant’altro di simile – dovrebbe di norma proporre? Molto semplice, tanto quanto sconsolante: “perché gli editori indipendenti sono i soli che continuano a fare un autentico talent scouting”. Sono i soli che ancora pubblicano cose particolari e innovative, appunto, ovvero opere (e autori) che non seguono le mode di lettura del momento, che non sono “mainstream”, che non puntano a scrivere qualcosa che piaccia al grande pubblico e dunque sia facilmente vendibile e porti grandi guadagni all’editore.
Questi “autori da marketing” sì, i grandi editori se li accaparrano rapidamente, e senza fare troppa attenzione alla qualità letteraria delle loro opere, come ripeto: per essi conta, giocoforza, di poter offrire un adeguato dividendo ai propri azionisti e se ciò significa pubblicare libri che sovente la critica stronca (ma, appunto, oggi per vendere libri conta di più lo spot TV che l’opinione del bravo e obiettivo critico letterario!), amen. È la stessa logica di mercato deviata che sta alla base del nostro mondo contemporaneo, lo ribadisco, conta la vendibilità della merce, non la qualità. Peccato però che in questo modo non solo si inquina il valore letterario delle opere edite, ma anche, cosa peggiore, la qualità dei lettori, disabituati a riconoscere la bontà d’un libro e portati a formulare valutazioni ben più superficiali e di mera matrice consumistica.