«nella sua iterazione evoca la serena e maestosa monotonia dei sutra». Una accanto all’altra, le statue sembrano disposte in una serie infinita, che al colpo d’occhio appare quasi insensata, ma che subito dopo si rivela evocatrice dell’idea stessa dell’infinito.
     Gli artisti thailandesi scolpirono i loro Buddha senza mai ispirarsi a modelli umani. Prima di mettersi all’opera, essi in genere contemplavano per giorni e giorni un’antica statua del Buddha; poi si ponevano in una sorta di isolamento, durante il quale si sforzavano di visualizzare le precise fattezze della statua. Infine, quando l’opera veniva realizzata, doveva essere consacrata con lunghe e complesse cerimonie, che avevano lo scopo di far penetrare nella materia scolpita lo spirito vivificante del Buddha. Erano le “forme” della statua il vettore simbolico di questo spirito, mentre le forme principali erano quattro: il Buddha seduto, in piedi, sdraiato su un fianco o in atto di camminare.
     La posizione seduta, la più comune, trae origine dal motivo induista dello “uomo divino assiso sul loto”: l’uomo che “nasce” dal loto simboleggia, nel buddhismo, l’anima che si schiude da uno stato oscuro e informe alla luce della “bodhi”, la coscienza cosmica che ristabilisce il contatto fra l’universo e l’anima. In Thailandia, poi, questa posizione si presenta in tre modi diversi: con le gambe incrociate o una sopra l’altra o, assai più raramente, a penzoloni. I primi due modi, detti posizione del diamante o del loto l’una e dell’eroe l’altra, possono a loro volta variare a seconda dei gesti che il Buddha compie con le mani. Questi gesti sono i celebri “mudra”, intorno ai quali la scienza religiosa buddhista ha elaborato nei secoli le regole di un simbolismo complesso e affascinante.
     Tra i mudra più ricorrenti esaminiamo, per esempio, il già citato “bhumisparsa mudra”. Seduto nella posizione dell’eroe (virasana: una gamba sopra l’altra), il Beato tiene poggiato il palmo della mano destra poco sotto il ginocchio della gamba destra e con le dita della stessa mano sfiora la terra. La mano sinistra, intanto, poggia col dorso sulla caviglia della gamba destra, col palmo aperto e rivolto verso il cielo. Questi gesti, detti “del Buddha che chiama la terra a testimone”, si riferiscono a un preciso episodio della vita di Siddharta Gautama. Un giorno, mentre egli sedeva assorto in meditazione, il malvagio demone Mara gli si avvicinò e cercò d’indurlo in tentazione. Il Buddha, allora, sfiorando la terra con le dita chiamò in suo soccorso Thorani, la dea della terra, ed ella, strizzandosi la chioma che aveva inzuppata d’acqua, provocò un’inondazione che travolse Mara con tutti i suoi seguaci. Da quel giorno Gautama ricevette il titolo di Maravijaya, “Colui che vinse Mara”.

        pagina 03 di 04
 
 
 
 
 
Infobergamo® - www.infobergamo.it è un prodotto H.S.E. - Leggi la nostra CDD - Validazione XHTML - CSS
Autorizzazione Tribunale di Milano n.256 del 13 aprile 2004. Vietata la riproduzione e la riproposizione non autorizzate di testi ed immagini.