tendenza ad aggredire il prossimo ha una base biologica, tuttavia, non sono mai stati identificati i geni responsabili di questa particolarità caratteriale; secondo altri, invece, l’individuo impara a reagire alle emozioni ed agli eventi per imitazione, osservando quindi il comportamento comune.
     Esiste anche una terza teoria, la più dibattuta, secondo la quale la rabbia è la conseguenza di stati emotivi negativi originati da eventi spiacevoli: il dolore o il dispiacere attivano due reazioni, contrapposte l’una all’altra, che sono la fuga o l’aggressione. La scelta dell’azione è soggettiva per ogni individuo e dipende da molteplici fattori, alcuni innati, altri appresi dalla frequentazione dei propri simili.
     In ogni caso, dietro ad ogni fenomeno di espressione rabbiosa o di ostilità vi è un tal varietà di elementi scatenanti che analizzarli e classificarli, uno per uno, è praticamente impossibile; ogni manifestazione di rabbia è quindi un caso a sé. Su di un aspetto, però, tutti gli studiosi sono d’accordo: nell’aggressività c’è sempre una componente intenzionale, si fa del male a qualcuno perché lo si vuole fare, un danno provocato “involontariamente” non contiene elementi di aggressività. Il gesto violento è quindi “programmato” e proprio per tale sua caratteristica è punibile giuridicamente; questo presupposto non viene meno anche se l’obiettivo dell’aggressione non viene colpito, ciò che conta è l’intenzione.
     Proviamo a ripensare al secolo scorso, ai tempi dei nostri nonni, secondo voi, quanti fatti di cronaca con mogli, fidanzate, amiche, sorelle, amanti accoltellate da fidanzati gelosi e mariti infastiditi accadevano? Secondo noi, assolutamente pochini… forse le persone erano troppo impegnate a trovar qualcosa da mettere nel piatto per mangiare oppure erano più tolleranti di noi oggi?
     Ad onor del vero, la nostra caotica società, la quale ci spinge a vivere sempre più di corsa, iper connessi ed iper stressati, presenta un insieme di elementi che possono fungere da “fomentatore” di rabbie latenti o represse. Prendiamo per esempio le comunità virtuali, Facebook, What’s up ed altre, i sociologi ci hanno avvertito da un bel po’ di tempo: un uso intensivo di queste community rischia di impoverire le relazioni sociali trascinando le persone verso l’isolamento sociale. Il problema nasce dal fatto che il mancato sfogo delle proprie emozioni con una persona vera (come si è sempre fatto con l’amica del cuore, per esempio) rischia di ingigantire ed esasperare problemi assolutamente risolvibili, facendo perdere di vista la soluzione; inoltre, la partecipazione a forum o chat favorisce la creazione di una sorta di mentalità “di gruppo”, secondo la quale le opinioni ed i

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