isola popolata da uomini che odiano il mondo. Con nome greco si chiamano monaci, perché vogliono vivere soli e senza testimoni. Temono i beni della fortuna per paura dei danni futuri. Ma chi si fa spontaneamente infelice per non esserlo nel futuro? Che pazzia di un cervello sconvolto è questa che, mentre si teme il male, non si può sopportare neppure il bene?»
     La “santa follia” eremitica era nata in Egitto e nel Vicino Oriente all’inizio del quarto secolo, proprio quando il cristianesimo, grazie all’editto dell’imperatore Costantino, aveva acquisito finalmente il “diritto di esistere”. Dopo i secoli delle persecuzioni, la giovane religione andava incontro al mortale pericolo dell’accordo col mondo e la reazione dei santi era la fuga dalla civiltà. Il padre di tutti quegli asceti, che si disperdevano nei deserti di Siria, di Palestina e d’Egitto, era stato Antonio: “lo nimico de lo dimonio”, come dicono le parole di un celebre canto popolare dell’Italia meridionale. Il suo biografo, Atanasio, ricorda le sue memorabili lotte contro le tentazioni di Satana e narra che egli mangiava una sola volta al giorno, dopo il tramonto del sole, nutrendosi di pane, sale e acqua pura. Per dormire gli bastava una stuoia, ma per lo più si stendeva sulla nuda terra.
     L’esempio di Antonio è un bolide di fuoco che verso la metà del quarto secolo illumina di colpo tutto il mondo cristiano, ma se in Italia non vi sono gli immensi e terribili deserti dell’Oriente, dove mai ci si potrà rifugiare? Nulla è più invitante di un’isola, per chi fugge il mondo e va alla ricerca di Dio. L’isola, come la montagna, è un simbolo della divinità: è l’immobile roccia che sfida in eterno la furia del cielo e del mare.
     Approdano dunque a Capraia i primi cercatori di pace. La loro guida si chiama Eudossio. Esplorano l’isola, non v’incontrano anima viva e, in una verde valletta tra i monti, chiamata Piano, edificano dapprima il loro umile romitorio, subito dopo la chiesetta di Santo Stefano Protomartire, la quale verrà distrutta più di quattro secoli dopo dai saraceni e ricostruita dopo l’anno Mille. Sono questi i monaci che conoscerà Agostino: a essi il dottore della Chiesa impartirà una prima regola di vita e di preghiera, ma è nel secolo successivo che il monachesimo delle isole toscane diventa tradizione e leggenda.
     Dalla Sardegna, nel 455, approda a Montegiove un asceta di nome Mamiliano, che un tempo fu vescovo di Palermo e, in seguito, ridotto in schiavitù dai vandali e trascinato in Africa, è riuscito a liberarsi dalle catene. Mamiliano scopre una grotta presso la sommità della montagna e ne fa la propria casa. Prega, digiuna, va in estasi. Combatte con i draghi. E l’isola cambia nome: da Montegiove a

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